di Ettore Minniti
Durante il mio periodo palermitano ho partecipato a tante commemorazioni in memoria delle vittime di mafia. Una corona sul luogo dell’eccidio, la Messa in suffragio, le Autorità politiche in pompa magna e tante, ma tante parole nel ricordare l’eroe tragicamente ammazzato per mano mafiosa.
Quelle in ricordo di Giovanni Falcone hanno, per me, superato ogni fervida immaginazione, per quanto le rappresentazioni dei narratori, declamatori di filippiche senza senso, rappresentassero menzogne, mezze verità, falsità, bugie, sdegno, inganno. Gli oratori, saliti sullo scranno del sapere tessevano elogi a Falcone e tentavano di autoassolversi dagli eccessivi attacchi e insinuazioni che anni prima gli avevano rivolto, in privato e in pubblico screditando il suo agire.
L’unico elogio serio, foriero di verità, fu quello che gli rivolse Borsellino, con la sua innata ironia. Un giorno Paolo disse a Giovanni, suo grande amico di sempre:
“Giovanni, ho preparato il discorso da tenere in chiesa dopo la tua morte:“ci sono tante teste di minchia: teste di minchia che sognano di svuotare il Mediterraneo con un secchiello…quelle che sognano di sciogliere i ghiacciai del polo con un fiammifero…ma oggi signori e signore davanti a voi, in questa bara di mogano costosissima, c’è il più testa di minchia di tutti… uno che aveva sognato niente di meno di sconfiggere la mafia applicando la legge”.
Di quel periodo, l’unico momento in cui mi raccoglievo in preghiera e gioivo in un silenzio speranzoso, perché ero sicuro che, Giovanni prima e Paolo dopo, non erano morti invano, era al porto di Palermo quando arrivava la nave delle legalità, con a bordo più di mille studenti provenienti da tutta Italia, i quali si univano agli oltre 20mila giovani già presenti in città in corteo festante e multicolore.
Quel ricordo di Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo, Paolo Borsellino e degli uomini e delle donne delle scorte, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, Vito Schifani, Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina, rimarrà indelebile; posso affermare orgoglioso, a gran voce, “Io c’ero!”.
E se i giovani hanno cambiato il corso della storia, tant’è che Giovanni ha potuto realizzare il suo sogno di ‘sconfiggere la mafia applicando la legge’ e Paolo ha raggiunto il suo scopo perché prima di morire aveva incontrato tanti giovani parlando loro di mafia, oggi il testimone di questa impari lotta l’ha raccolto il duo musicale Bellamorea, composto da due giovani cantautori, i fratelli Emanuele e Francesco Bunetto, con una canzone a loro dedicata ‘Nun c’è chi diri’
“Restu ca a chiedermi / comu fannu a perdiri / senza tempu ricurdari / chista sorti pi cangiari.
Ricurdari u rispettu com’è, ritruvari sulu lacrime. / Nun c è chi diri, lu destinu / nun si smintisci mai, / cunsegna a la memoria / na storia i’dignità, / nun c è chi fari ma spirari / ca morunu sti spari / allarga li to vrazza / comu na matri incuraggia”.
“Resto qui a chiedermi / come fanno, questi eroi, / a perdere? / Senza tempo ricordare / questa sorte, per cambiare / Ricordare il rispetto com’è / E ritrovare solo lacrime / Non c’è niente da dire: il destino / non si smentisce mai / Consegna alla memoria / una storia di dignità “.
Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha inviato loro una lettera di apprezzamento. Un messaggio che ha commosso Emanuele e Francesco: “sono parole che riempiono di orgoglio e che ci danno il motivo a credere al nostro progetto sempre di più e continuare ad andare avanti”.
La nenia, “Nun c’è chi diri”, rende omaggio a tutti gli eroi vittime di mafie, in particolare ai due magistrati simbolo della lotta alla mafia, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, uccisi nelle stragi di Capaci e via d’Amelio a Palermo. Questi due uomini sono l’emblema di chi si è sacrificato per la giustizia e ha lottato per i forti valori del vivere civile e della propria memoria.
I giovani ed in particolare i due cantautori ci hanno lasciato un messaggio che mira a veicolare il senso di appartenenza, soprattutto tra i giovani, ricordandoci che ci sono uomini e donne che hanno pagato con la vita la loro adesione ai principi di legalità e rispetto delle regole.
Giovanni e Paolo sorridenti ci guardano dal cielo!