21 settembre 1860. Muore Arthur Schopenhauer


 

di Gianni De Iuliis

 

Il celebre filosofo tedesco Arthur Schopenhauer fu trovato morto nella sua casa di Francoforte sul Meno il 21 settembre del 1860. Aveva 72 anni (era nato a Danzica il 22 febbraio 1788), sofferente da qualche tempo di difficoltà respiratorie e tachicardia, fu una polmonite degenerata rapidamente in pleurite a causare la morte. La sua tomba si trova nel cimitero di Francoforte, dove il filosofo ateo fu seppellito dopo cinque giorni dal decesso senza cerimonia religiosa, alla presenza di pochi intimi. La lapide riporta solo il suo nome e cognome, senza date né epitaffio.

Arthur Schopenhauer è stato un filosofo tedesco, cittadino espatriato del regno di Prussia e uno dei maggiori pensatori del XIX secolo e dell’epoca moderna.

Il suo pensiero recupera alcuni elementi dell’Illuminismo, della filosofia di Platone, del Romanticismo e del kantismo, fondendoli con la suggestione esercitata dalle dottrine orientali, specialmente quella buddhista e induista. Schopenhauer crea una sua originale concezione filosofica caratterizzata da un forte pessimismo, la quale ebbe una straordinaria influenza, seppur a volte completamente rielaborata, sui filosofi successivi, come ad esempio Friedrich Nietzsche, e, in generale, sulla cultura europea coeva e successiva, inserendosi nella corrente delle filosofie della vita.

La novità filosofica di Schopenhauer è proprio lo studio e la rielaborazione del pensiero orientale e della spiritualità indiana. Schopenhauer la conosce attraverso l’orientalista Frederich Mayer; ammira molto la sapienza orientale, compreso la filosofia buddhista, con la sua tematica del dolore il cui superamento è uno degli assi portanti del pensiero di Siddharta. Ma mentre questi ottimisticamente teorizza come possibile il raggiungimento del nirvana, Schopenhauer è pessimista e scettico, anche se indica delle vie per attenuare il dolore.

Se la vita è dolore, è necessario comprendere le vie di redenzione e di liberazione dal dolore. Senza giungere a una filosofia del suicidio universale (che da Schopenhauer è fortemente condannato perché esso è una forte affermazione della volontà e non una sua negazione e perché il suicidio elimina solo un individuo, solo una manifestazione fenomenica della volontà e non la volontà), egli sostiene che bisogna liberarsi dalla volontà, bisogna passare dalla voluntas alla noluntas.

Dalla presa di coscienza del dolore nascono le tre tappe per giungere alla liberazione dal dolore, che significa liberazione dalla volontà di vivere: arte, morale, ascesi.

L’arte è una conoscenza libera e disinteressata che si rivolge alle idee, alle forme pure. Essa è catartica poiché l’individuo, mediante l’arte, contempla la vita, elevandosi al di sopra della volontà, del dolore, del tempo, sottraendosi alla catena dei bisogni e dei desideri. In particolare la musica è la forma più alta di arte, perché si pone come immediata rivelazione della volontà a se stessa. Ma la funzione catartica dell’arte è breve e fugace, sembra un effimero incantesimo. Pertanto essa non è una via di liberazione dal dolore, dalla vita. Ma solo un breve conforto alla vita stessa.

La morale implica un impegno dell’individuo nel mondo a favore del prossimo e quindi è un tentativo di superare l’egoismo e di vincere la lotta degli uomini tra loro. La morale si concretizza nella giustizia e nella carità. La giustizia è un freno all’egoismo ed è un procedimento in negativo, nel senso che consiste nel non fare il male e nell’essere disposti a riconoscere all’altro ciò che siamo disposti a riconoscere a noi stessi. La carità è un procedimento in positivo e consiste nel fare il bene. Ma anche la morale non riesce a liberare l’uomo totalmente dalla volontà di vivere, perché resta ancora attaccata alla vita.

L’ascesi è l’esperienza per cui l’individuo, cessando di volere la vita, estirpa il proprio desiderio di esistere, godere. Essa è la tecnica della soppressione della volontà di vivere, è l’unico atto di libertà consentito all’uomo. Le varie tappe dell’ascesi sono: la castità, la rinuncia ai piaceri, l’umiltà, il digiuno, la povertà, il sacrificio, l’automacerazione. Sono tutte manifestazioni il cui scopo è sciogliere la volontà di vivere dalle proprie catene, negare la vita. L’ascesi in Schopenhauer, che è ateo, non porta all’estasi, ma al nirvana, che è l’esperienza del nulla. Nulla inteso come negazione del mondo. Il nirvana diventa per il filosofo il tutto, un immenso spazio in cui si dissolve ogni nozione di io e di soggetto.