IL FILM MAI NATO DI LUCHINO VISCONTI


Storia del progetto cinematografico del monumentale romanzo di Marcel Proust, “Alla ricerca del tempo perduto”, abbandonato dal regista milanese cinquant’anni fa, nel 1971, insieme ad un cast “all stars”

di Franco La Magna

L’inizio delle riprese era stato previsto nell’agosto del 1971, anno del centenario della nascita di Marcel Proust, ma tutto è rimasto chiuso in un polveroso scaffale dalla sigla misteriosa, UA35, custodito dall’Istituto Gramsci di Roma. Sulla scatola un titolo sbiadito, “A la recherche du temps perdu”, l’opera fiume che lo stesso Proust dice “…dominata dalla distinzione fra la memoria involontaria e la memoria volontaria. Per me – dice lo scrittore parigino – la memoria volontaria…ci offre del passato soltanto facce prive di verità; ma basta che un odore, un sapore ritrovati in circostanze del tutto diverse, ridestino in noi, senza che lo vogliamo, il passato, e subito sentiamo quanto tale passato fosse diverso da quello che credevamo di ricordarci e che la nostra memoria volontaria dipingeva, come i cattivi pittori, con colori senza verità”.​​​​​​

La monumentale, fluviale, “Recherche”, dello scrittore parigino – che mitizza il tempo dell’infanzia, descrive dettagliatamente un mondo in procinto di dissolversi, l’amore per la madre e l’omosessualità – per ben due volte tra gli anni ’60 e ’70 vede svanire la possibilità di diventare anche un film. Un’idea grandiosa, pretenziosa, forse impossibile da realizzare. La storia del film mai nato ha inizio nel lontano 1962 quando Nicole Stéphane, baronessa Rothschild, attrice e produttrice francese, acquista i diritti della “Recherche”. Sceglie come regista René Clément e come sceneggiatore il nostro Ennio Flaiano; i ruoli principali sono affidati a Marcello Mastroianni e Jean Moreau. Tutto sembra filare liscio, ma qualcosa va storto. Alla baronessa francese viene consigliato di scartare Clément troppo lontano dal mondo di Proust. In luogo del regista di “Giochi proibiti” viene suggerito Visconti, che lei immediatamente incontra a Milano restandone incantata. ​​​

Siamo nel 1969. Letta la sceneggiatura di Flaiano, Visconti non ne resta convinto. Il regista milanese, che ha una concezione spettacolare, intende dare alla “mostrazione” dell’ambiente il ruolo primario, al contrario di Flaiano che punta l’attenzione sull’amore del Barone di Charlus per il violinista Morel e del Narratore per Albertine, sicché la collaborazione con lo scrittore inevitabilmente si blocca, mentre ancora Enrico Medioli ed Enzo Siciliano stanno lavorando ad un nuovo trattamento. Ma il progetto va avanti lo stesso. Visconti chiama a sceneggiarlo Suso Cecchi D’Amico, sua “storica” collaboratrice, che ne scrive in otto mesi una stesura presentando all’inizio tutti i personaggi principali e concludendo con la serata dai Verdurin e la morte di Albertine. Per  sei mesi, insieme allo scenografo Mario Garbuglia, la D’Amico percorre in lungo e in largo la Francia in una frenetica ricerca delle location: Parigi, il castello di Ferriére, Combray, Caburg, riuscendo a distogliere per qualche tempo le autorità locali dal proposito di demolire il Grand Hotel dove Proust solitamente alloggiava. ​​​​​​​​

La durata del film sfiora nelle intenzioni le quattro ore. Piero Tosi, atterrito da un progetto così ambizioso, comincia a disegnare i bozzetti per i costumi. Nulla pare essere emerso dalle note di regia sulla scelta della colonna sonora, mentre comincia a prendere corpo un cast “all stars”: Marlon Brando o Laurence Olivier (Charlus), Alain Delon o Dustin Hoffman (il Narratore, lo stesso Marcel), Silvana Mangano (Oriane de Guermantes), Helmut Berger (il violinista Morel), Charlotte Rampling (Albertine), Brigitte Bardot, che chiede espressamente di partecipare al film, Odette de Crecy; Greta Garbo (la regina di Napoli). Visconti dichiara “…di lasciare da parte l’infanzia di Marcel e il mondo sociale per seguire uno dei sentimenti fondamentali dell’opera: l’amore inteso come inseparabile dalla gelosia”. E aggiunge: “So fin d’ora che nessuno sarà soddisfatto, che tutti protesteranno resteranno indignati,  offesi, scandalizzati. Ci sono migliaia di vestali di Proust…Non me ne preoccupo. Lavoro in serenità, perché sono sicuro che dispiacerò a tutti”. Ma poco dopo il film misteriosamente si arresta. Problemi economici o un ripensamento sulla impossibilità di realizzare il film o cos’altro? Il produttore informa Stéphane che si precipita a Roma ed offre a Visconti un compenso doppio, ma lui la ignora e comincia a girare “Ludwig”. Lei allora gli fa causa. Chiama alla regia Joseph Losey e incarica Harold Pinter di scrivere la sceneggiatura, ma Visconti (che considera il film già suo) contrattacca sicché Losey non può girare senza la sua precisa autorizzazione. Tutto s’inabissa inesorabilmente.

Qualche anno dopo Visconti muore (1976) lasciando una delle più colossali incompiute del cinema mondiale. Il romanzo che tanto lo aveva avvinto fin da giovane sarebbe rimasto solo sulla carta, forse per sempre. Ma, in fondo, non è forse vero – come afferma Antonello Trombadori in una vecchia intervista – che in tutta l’opera di Visconti si ritrova sempre qualcosa di Proust?