20 marzo – 1986 – Nel supercarcere di Voghera viene avvelenato Michele Sindona con un caffè al cianuro. Sindona era stato condannato per l’omicidio Ambrosoli.


Uno dei più inquietanti misteri italiani è probabilmente la morte di Michele Sindona avvenuta nel marzo del 1986. Conosciamo la causa del decesso: un caffè al cianuro bevuto nella sua cella nel carcere di Voghera. Ma chi mise il veleno nella tazzina? E perché? Per capirlo, è necessario in primo luogo ricostruire la biografia e la personalità del banchiere siciliano. Grande protagonista dei nostri anni Sessanta e Settanta, finanziere potentissimo, intratteneva rapporti con importanti uomini politici al di qua e al di là dell’oceano: nel 1973 Andreotti lo definì «salvatore della lira» e nel 1974 l’ambasciatore usa in Italia lo premiò come «Uomo dell’anno»; era uno degli uomini di fiducia del Vaticano, e in particolare dello ior diretto da Paul Marcinkus, ma aveva anche legami con la mafia. Iscritto alla P2 di Licio Gelli, fu lui a introdurre Roberto Calvi negli ambienti di quella loggia segreta, oltre che in quelli vaticani e in quelli mafiosi. Processato e condannato per bancarotta fraudolenta sia negli Stati Uniti sia in Italia, subì anche la condanna all’ergastolo come mandante dell’omicidio dell’avvocato Giorgio Ambrosoli, e pochi giorni dopo bevve quel caffè avvelenato.

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