di Gianni De Iuliis
Il 20 febbraio 1909 Il Manifesto del Futurismo, con il titolo Manifest du Futurisme, fu pubblicato in francese sulla prima pagina del quotidiano Le Figaro di Parigi. In realtà apparve per la prima volta sulla Gazzetta dell’Emiliadi Bologna, il 5 febbraio 1909. Ovviamente tale pubblicazione diede all’intero movimento una dimensione internazionale: ebbe addirittura la prima pagina del quotidiano più famoso de La Ville Lumière, del cuore pulsante della civiltà occidentale, della capitale culturale mondiale.
Siamo in piena Belle Époque. Il progresso industriale e il forte sviluppo economico, associati a una forte spinta d’innovazione tecnologica, suscitarono in Europa euforia, entusiasmo e ottimismo. Si diffonde un’illimitata fiducia in un progresso materiale eterno. Spensieratezza, voglia di vivere, fede nel futuro diventano stati d’animo consolidati nella ricca borghesia, ma anche tra i ceti meno abbienti. Migliora la qualità della vita e sorge una forte attenzione verso il superfluo.
Marinetti, come D’annunzio, intendono svecchiare e sprovincializzare la cultura italiana. Il suo Manifesto adotta categorie proprie del Positivismo evoluzionistico di Spencer, Ardigò e dei materialisti tedeschi. Si assume il concetto di evoluzione come il fondamento di una teoria generale della realtà, procedendo mediante la generalizzazione filosofica del concetto biologico di evoluzione di Darwin. In particolare, il concetto di evoluzione si traduce nell’ideale di Progresso: si concepisce il reale come una totalità processuale necessaria. Pertanto categorizzando la storia mediante le nozioni di sviluppo necessario e divenire ascendente s’interpreta il reale come un processo in cui ogni evento è il risultato di un progresso verso il passato e condizione di un miglioramento futuro.
Questa cornice teoretica ci consente di contestualizzare gli articoli fondamentali del Manifesto.
«Art. 1. Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità.
Art. 2. Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia.
Art. 3. La letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità pensosa, l’estasi ed il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno.
Art. 4. Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo… un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia. […]
Art. 8. Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!.. Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell’Impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell’assoluto, poiché abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente.
Art. 9. Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo – il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna.
Art. 10. Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica o utilitaria.
Art. 11 Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa […]».
Dopo cinque anni scoppierà la Prima Guerra Mondiale, il conflitto più tragico della storia dell’Occidente fino a quel momento.
Dopo otto anni scoppierà la Rivoluzione d’Ottobre.
Dopo tredici anni avverrà la marcia su Roma da parte dei Fascisti.
Dopo ventiquattro anni Hitler diverrà cancelliere tedesco.
Sembrano tutti episodi collegati da una sorta di anti-umanesimo che trova nelle categorie futuriste la sua massima celebrazione e che serpeggia nella storia come un fiume carsico che talvolta sbuca in superficie. Fino ad arrivare al Ventunesimo secolo, a una totalizzante tecnicizzazione del reale e a un processo rovinoso di alienazione dell’umano, totalmente asservito ai meccanismi di uno pseudo-progresso, stritolato da meccanismi postdemocratici ed eterodiretti da un’ élite tecnocratica e burocratica.