Il programma di quest’anno registra un pressoché totale ritorno alla discutibile parata militare, pur se sono state contingentate le visite del pubblico al Quirinale, alle Caserme, agli Aeroporti e ai siti più o meno variamente interessanti
di Augusto Lucchese
Un altro anno va aggiunto alla non più giovane esistenza della Repubblica Italiana, nata nel giugno del 1946.
L’odierna ricorrenza, a quanto sembra, tornerà a riproporre i variegati festeggiamenti che, di anno in anno, sono stati posti in essere, sino al 2019, anno in cui il “covid 19” ha imposto -presumibilmente con un certo rammarico – la forzata rinuncia a talune manifestazioni che avrebbero potuto determinare “assembramenti” o pericolose occasioni di ravvicinato contatto.
Il programma di quest’anno registra un pressoché totale ritorno alla discutibile “normalità”, pur se sono state contingentate le visite del pubblico al Quirinale, alle Caserme, agli Aeroporti e ai siti più o meno variamente interessanti.
A fronte della tragica situazione venutasi a creare in Europa e nel Mondo, come conseguenza del premeditato barbaro assalto all’Ucraina da parte della Russia putiniana, situazione che avrebbe dovuto indurre i “capitani di lungo corso” delle nostre Istituzioni a doverose e responsabili riflessioni, non risulta che sia stata neppure presa in considerazione, cosa che sarebbe stata altamente saggia, la decisione di non effettuare, anche quest’anno, la consueta dispendiosa “parata militare” ai Fori Imperiali.
Quando i romani affermavano che “errare humanum est, perseverare autem diabolicum”, non pensavano certo che tale motto sarebbe divenuto di pressoché costante attualità nella Italia politica di oggi. L’irragionevole spettacolarità, come da costume tipicamente nostrano, ha nuovamente preso il sopravvento sulla razionalità e sul buon senso. È stato già annunciato, parecchio enfaticamente, che la tradizionale “parata” ai Fori Imperiali, a dispetto di ogni emergenza e di ogni ristrettezza economica ed energetica, si svolgerà come di consueto. Le “Frecce tricolori” sfrecceranno più volte nel cielo del 2 giugno 2022.
Non sarà di certo “un 2 giugno sobrio” come, ragionevolmente, l’attuale crisi mondiale (con lo spettro di quella alimentare) e le tragiche guerre in corso avrebbero richiesto che fosse. Qualcuno, in merito, ha addirittura ritenuto pertinente lanciare una petizione, ma non occorre essere indovini per affermare che in alto loco neppure si prenderanno la briga di leggerla.
Il tutto, in ogni caso, non dovrebbe far dimenticare il significato ideale della nascita della Repubblica.
Alla fine del disastroso lungo periodo della 2° Guerra Mondiale in Europa (settembre 1939/ maggio 1945), a seguito di significative riprovevoli motivazioni, oltre che per l’inarrestabile evolversi delle concezioni libertarie politiche e culturali della Società, si esaurì il ruolo della Monarchia sabauda che, più nel male che nel bene, aveva parecchio influito sugli avvenimenti storici che portarono alla unificazione della Nazione Italia.
Il Regno d’Italia sorse nel 1861 e sembrava che, alla fine, fosse in via di esaurimento il burrascoso e cruento periodo delle guerre d’indipendenza, in gran parte sostenute contro l’oppressore Impero Austro-ungarico. Pur in assenza delle province venete (all’epoca sotto dominio austriaco, poi aggregate, nel 1866, a seguito della Terza guerra d’Indipendenza) e ferma restando, ancora per pochi anni, l’inviolabilità dello Stato Pontificio, era stata attuata l’annessione più o meno plebiscitaria o coatta di quasi tutti gli Stati Sovrani sparsi per la Penisola, tracciati dal Congresso di Vienna del 1815 e arbitrariamente assegnati a vari Casati d’alto lignaggio dell’epoca.
Il combattuto “referendum” del 2 giugno 1946 (12. 717. 923 cittadini votarono per la repubblica e 10. 719. 284 per la monarchia) segnò una radicale svolta istituzionale e comportò l’avvento della odierna Repubblica Italiana. La nuova “Carta Costituzionale” del 1948 ne sancì i basilari canoni e, di fatto, assunse il ruolo di pilastro fondante dello Stato democratico repubblicano italiano.
La speranza di un netto miglioramento della situazione sociale, economica e politica del Paese divenne il motore di spinta della “ricostruzione”, del “miracolo economico”, delle “conquiste” del mondo lavorativo, del graduale inserimento della “pari opportunità femminile” in ogni settore della società lavorativa e operativa.
Tutti sanno che, tuttavia, la crescita e la vita della giovane Repubblica italiana fu talvolta tormentata da deplorevoli risvolti della lotta politica, da tentativi di fantasiosi e grotteschi “golpe”, dalla nefanda e stragista “stagione terroristica”, dalla presunta collusione di taluni settori dello Stato con gli emergenti nuovi gangli della efferata mafia.
Ciò in aggiunta alla constatazione che parecchi apparati del potere esecutivo e amministrativo del nuovo Stato repubblicano erano rimasti pressappoco tali e quali rispetto al passato, mentre la funzione legislativa, costituzionalmente affidata ai due rami del Parlamento democraticamente eletto, era frequentemente divenuto terreno di duri e settoriali scontri ideologici e di lotta (più che altro a fini elettoralistici) fra i numerosi partiti tornati in auge dopo la meritata fine del ventennale periodo dittatoriale.
Il quadro complessivo della variegata, prolifica ed edonistica compagine degli stessi è scivolato, nel tempo, verso una costante fase di deterioramento della funzione rappresentativa loro assegnata dal sistema democratico.
Di contro, oltretutto, s’è accresciuta la generalizzata sfiducia della base elettorale nei confronti di gran parte della classe politica e manageriale di Stato. La notevole percentuale dei non votanti (talvolta superiore al 40 % degli aventi diritto) ne è la riprova.
È augurabile, tuttavia, che si possa pur sempre avviare una decisa inversione di tendenza, tale da consentire una sana e proficua “ripresa” dello sviluppo sociale ed economico dopo il disastroso e ferale fenomeno della pandemia generata dal misterioso “covid 19” e sperando che i “guerrafondai” di turno (siano essi “occidentali”, “orientali”, “asiatici” o semplicemente deprecabili esponenti di “poteri” sotterranei o di tribali sistemi di sopraffazione) la smettano di affidare alle armi le insane velleità di dominio politico o di egemonia economica.
In conclusione, nel rispetto delle regole sancite dalla Costituzione e dei valori dello Stato democratico, il miglior modo di festeggiare l’anniversario della Repubblica dovrebbe essere quello di rivalutare e perseguire il senso di responsabilità, di correttezza, di lealtà, di onestà, di condivisione di un ideale collettivo che dovrebbe animare ogni cittadino italiano meritevole di tale appellativo, politici e uomini di potere primi fra tutti. Non certamente quello di ostentare costose “parate militari” o manifestazioni di facciata all’insegna di più o meno arzigogolati e demagogici discorsi o di vacui sermoni.
Diversamente, più che parlare di festeggiamenti sarebbe corretto e doveroso ammettere che si corre il rischio di andare incontro ad un puro caso di autolesionismo nazionale.
Per altro verso, quanto costa tutto ciò al contribuente? Trattasi sicuramente di alcune preziose decine (o centinaia?) di milioni di euro.
Affidiamo ogni commento alla sensibilità e al giudizio delle persone assennate che fanno della parsimonia la colonna portante della propria esistenza.
Basti pensare alla costosa mobilitazione di diverse migliaia uomini (fra cui moltissimi alti ufficiali, generali e ammiragli) cui, oltretutto, ove provenienti da diverse zone della Penisola, spetta la trasferta e lo straordinario.
Basti pensare alle migliaia di mezzi motorizzati impiegati che, ovviamente, non camminano ad acqua e non sono trainati, alla stregua dei carri dei “triumphi pompa militari” di romana memoria, da un folcroristico nugolo di schiavi.
Risulta che la pattuglia acrobatica “Frecce Tricolori” costi, in atto, ben oltre i 20.000 EURO precedentemente segnalati per ogni ora di volo di ogni singolo aereo (costo da moltiplicare per il numero dei velivoli impiegati in volo – 10 – o tenuti “in riserva”, presumibilmente 5), a parte gli oneri per l’usura dei velivoli, per le delicatissime e sofisticate attrezzature di appoggio a terra, per i costi di trasferimento dalla base operativa, per il numeroso personale impiegato, in aggiunta ai piloti. All’incirca, si dice, una cifra che si approssima al milione di euro a fronte dei pochi minuti che scandiscono ogni esibizione.
In merito alla “parata” dei Fori Imperiali, qualcuno asserisce, pur in assenza di qualsivoglia resoconto ufficiale (segreto di Stato?), che l’impiego di parecchie migliaia di uomini (moltissimi percepiranno anche l’indennità di “trasferta”) e di mezzi meccanizzati, comporti per l’erario (per oneri diretti e indiretti) l’esito della bella sommetta di qualche milione di euro.
Altri attenzionano la presenza di centinaia di macchine di rappresentanza mobilitate per l’occasione, con alla guida autisti “non optional” e con “gorilla” al seguito.
E come non riferirsi anche ai rilevanti costi di interi quartieri blindati e preventivamente setacciati in funzione anti-terrorismo.
Ed ecco, ancora, l’assodato quanto notevole “sciupio” finanziario per l’approntamento di migliaia e migliaia di “divise d’epoca”, non certamente di “serie” o di scadente confezione e qualità.
Senza dire, infine, dei non quantificabili oneri di rappresentanza scaturiti dalla presenza di una ottantina di delegazioni di altre Nazioni, fra cui molti Capi di Stato e relativo codazzo.
Il tutto senza raffrontarsi, coscienziosamente, con le note e gravi difficoltà di bilancio, con lo stratosferico paralizzante e rischioso debito pubblico, con l’ incalzante disoccupazione, con la precarietà del vivere quotidiano di milioni di cittadini.
Facezie per il dorato mondo dei politicanti di mestiere o per i molti arruffoni e affaristi che alimentano, anche attraverso il tornacontistico potere partitico, lobbistico o settoriale, lo scontro fra la parte sana della Nazione e quella immersa fino al collo nella palude dell’antipolitica.
Quanto tratteggiato porta a porsi una domanda: cosa si pensa di festeggiare? È facile dire che “tutto va bene, madame la marchesa” mentre, frattanto, il debito pubblico continua, imperterrito, la sua corsa al rialzo.