1943 – Nel Porto di Napoli scoppia un incendio sulla Caterina Costa carica di esplosivi. Nell’esplosione conseguente muoiono 1000 persone. 3.000 i feriti e ingenti danni alla città


La CATERINA COSTA saltò in aria. Era una santabarbara galleggiante ormeggiata al molo 18 del porto di Napoli, non lontana dal rione di Sant’Erasmo.
Approdata nella città partenopea, carica di esplosivo, carri armati, cingolati, munizioni, cannoni e più di mille tonnellate di benzina in fusti nelle stive, si presentava come un boccone prelibatissimo per eventuali sabotatori… i quali non lasciarono tracce, ma tanti sospetti che non diedero tuttavia corso ad alcuna “azione antiterroristica”, come si direbbe oggi.!
La nave sarebbe dovuta partire per la Tunisia, a detta di molti studiosi fu sabotata dagli Alleati, ma il Regime al potere in quegli anni non lo avrebbe mai ammesso: ”oltre al danno la beffa”. Ciò non toglie che la nave possa essere stata vittima anche di una gestione molto superficiale da parte di un equipaggio improvvisato ed inesperto.
La flotta commerciale dei Costa aveva come ammiraglia la nave “Caterina Costa”, notevole per dimensioni e potenza di motori. Notare il moderno SHAPE della nave.
L’esplosione
Il 28 marzo 1943 la M/n CATERINA COSTA era carica di materiale bellico destinato alle forze armate italiane dislocate in Tunisia . Vediamo questa santabarbara nel dettaglio:
– 790 tonnellate di carburante ; 900 tonnellate di esplosivi; 1.700 tonnellate di munizioni; carri armati ed autocingolati; 43 cannoni a lunga gittata; fucili; circa 600 militari italiani e tedeschi; viveri.
Una volta ultimata la caricazione dei citati rifornimenti, sarebbe entrata a far parte di un convoglio militare diretto a Biserta , in Tunisia.
Nella prima mattinata del 28 marzo 1943 ntale o doloso che, evidentemente, fu sottovalutato e che portò, alle 17,39, all’esplosione del carico e della nave stessa.
Per entrare nel vivo della tragedia, nulla ci sembra più coinvolgente della lettura di alcuni stralci di cronaca trovati qua e là…
“Il comandante Marsi, da giorni stava vigilando sullo stivaggio del “delicato” carico della nave. La partenza era fissata per il 27 di marzo, ma un imprevisto provocò la rottura di una fune e fece slittare la partenza al giorno dopo. Il 28 marzo del 1943 intorno alle cinque del pomeriggio si scatena quello che inizialmente sembra un piccolo incendio a bordo, forse provocato da una
banale scintilla. Basta poco perché il tutto si trasformi in tragedia. La nave diventa una vera e propria bocca di fuoco dalla quale vengono “sparati” pezzi infuocati su tutta Napoli”.
“L’onda d’urto, e non solo, investì Napoli, dal porto partirono pezzi di nave, di cannoni e altro ancora, che arrivarono fino a Piazza Garibaldi, Borgo Loreto, la Sanità, piazza Carlo III e i Quartieri Spagnoli, provocando numerosi feriti. Fu colpita la Stazione Centrale dove alcune schegge appiccarono incendi ai vagoni in sosta, presero fuoco i Magazzini Generali e si dice che proiettili e detriti arrivarono fino al Vomero, alla collina dei Camaldoli, a Soccavo e a Pianura. La torretta di un carro armato si incastrò nel tetto del Teatro San Carlo dopo un volo di cinquecento metri, un pezzo di nave abbatté due fabbricati al Ponte della Maddalena, un altro si conficcò nel tetto di un palazzo di via Atri. Fu colpita anche una facciata del Maschio Angioino. Una lamiera veloce quanto un proiettile trafisse l’orologio della chiesa di Sant’Eligio ubicata nel centro storico della città a ridosso della zona di piazza Mercato. L’edificio gotico, costruito nel 1270, è la più antica costruzione di epoca angioina.
“Alla fine della giornata si contarono ben 600 morti, la stragrande maggioranza tra i marinai di bordo e oltre 3.000 feriti in tutta la città. Purtroppo se ne aggiungeranno molti altri. Non si conta invece il numero indefinito di persone che fu per un breve periodo di tempo, in forte stato di confusione dovuto alla paura e allo shock”.
“Il molo sprofonda letteralmente trascinando un gruppo di caseggiati vicini, due palazzi vengono letteralmente schiacciati dalla prua della nave, un carro armato fu rinvenuto sulla terrazza di un palazzo. Furono sollevati molti dubbi, si pensò anche ad un attentato, ma nulla emerse dalle serrate indagini che seguirà il drammatico evento”.
“I sismografi dell’Osservatorio del VESUVIO percepirono l’evento come un terremoto del quinto o sesto grado della scala Mercalli. Quello della Caterina Costa, fu solo uno dei terribili colpi che, compresi i cento bombardamenti che martoriarono Napoli durante la Seconda Guerra Mondiale, segnò la storia della nostra città”.
Rovina, disastro e distruzione
Per meglio comprendere il contesto storico in cui si venne a trovare la nave genovese “CATERINA COSTA”, mi affido alle lucide e dotte spiegazioni rilasciate dalla Prof.ssa Gabriella Gribaudi, docente di Storia Contemporanea all’Università Federico II, la quale si è occupata del periodo bellico e soprattutto ha approfondito gli avvenimenti che sconvolsero Napoli negli anni compresi tra il 1942 e il 1945 arrivando alla conclusione che Napoli é stata la città più “bombardata” d’Italia, dove vivo è ancora il ricordo di quelle giornate.
L’intervista é centrata sull’esplosione della “Caterina Costa”, avvenuta nel porto di Napoli il 28 marzo del 1943.
Professoressa Gribaudi nel suo libro “Guerra Totale” dedica un capitolo alla drammatica esplosione che sconvolse Napoli il 28 marzo del 1943. Cosa è emerso?
“Devo premettere che Napoli ha subito oltre 100 bombardamenti che hanno causato la morte di oltre sei mila persone. E’ stata una città fortemente colpita per una ragione precisa: con il suo porto era la base di partenza delle navi militari dirette in Africa ed era il porto di rifornimento di armi. In più è stata sottoposta, dopo lo sbarco degli alleati a Salerno il 9 settembre del 1943, alle rappresaglie dell’esercito tedesco. Per cui possiamo affermare che fu colpita dal cielo dall’aviazione degli alleati e, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, fu sottoposta ai rastrellamenti, alle rappresaglie naziste. 18 mila furono in quegli anni i napoletani condotti nei campi di concentramento.”
Venendo, dunque, al 28 marzo, cosa accadde?
“La nave “Caterina Costa” era ormeggiata nel porto, in attesa di partire per il nord Africa per portare all’esercito armi e derrate alimentari. Nella stiva di poppa, già dalle prime ore della mattina, iniziò a sprigionarsi un incendio. All’inizio si trattò di piccole esplosioni. Dai documenti rinvenuti e dalla corrispondenza tra le Autorità, come Prefettura, Marina Militare, Autorità del porto, si evince chiaramente che su tutti prevalse l’indecisione, l’incapacità di assumere delle decisioni e che, per una studiosa di storia, è un’ulteriore dimostrazione della mentalità delle “élite dirigenti” del fascismo: avventurismo, incapacità di decidere e di operare in sintonia con i vari centri del potere, scarsa sensibilità verso la gente comune furono i caratteri distintivi del regime. A bordo c’erano bombe, polvere da sparo, carri armati per cui l’esito dell’esplosione fu devastante: palazzi crollarono, fabbriche andarono distrutte, quartieri lontani dal porto furono colpiti. I morti accertati furono 600, ma probabilmente furono molti di più. Devo aggiungere che le sirene non suonarono, come avveniva in caso di “bombardamenti”, per cui i cittadini ignari non corsero nei rifugi.”
Una domanda che molti si sono posti, è se si sia trattato di un attentato.
“No, lo testimoniano le relazioni di Prefettura e Vigili del Fuoco dell’epoca che ho esaminato. Gli errori furono molteplici: il primo fu di aver ormeggiato una nave carica di esplosivo con la prua rivolta verso la città e non verso il largo, altro errore fu di non provare ad affondarla o almeno ad allontanarla. All’inizio, come le ho precisato, l’incendio fu di piccole dimensioni. L’esito catastrofico fu il risultato di una conclamata incapacità a prendere delle decisioni sensate.”
Ma ci fu un’indagine dopo l’evento? In che modo si valutarono le responsabilità?
“L’unico risultato delle indagini fu l’allontanamento del Comandante del porto, Ammiraglio Falangola. Provvedimenti più seri e che la popolazione si aspettava non vi furono. Su tutto calò il silenzio. Ciò che emerge chiaramente, da questa triste pagina della guerra, è la perdita delle “memoria pubblica”. L’esplosione di quella giornata è rimasta, invece, impressa nella mente dei napoletani. Nel mio libro riporto diverse testimonianza di figli di uomini e donne dell’epoca che conoscono quanto avvenne grazie al racconto di nonni e di genitori. La memoria privata c’è. Ritengo importante aver deciso di commemorare quel 28 marzo 1943 per riportare all’attenzione “pubblica” un accadimento dimenticato per 75 anni dalle Istituzioni.”
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Di Carlo GATTI – fonte: https://www.marenostrumrapallo.it/cate/