1861, Roma, dopo Torino e Firenze, divenne la capitale d’Italia


 

Il 27 marzo 1861 la Camera proclamò Roma capitale d’Italia. Di fatto, lo divenne però solo dieci anni dopo, quando i Savoia vi si trasferirono.

 

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Il Vittoriano, il monumento a Vittorio Emanuele II in piazza Venezia, Roma. Wikipedia

Il 27 marzo 1861, dopo il discorso di Cavour, la Camera proclama Roma capitale d’Italia: in realtà, lo diventò nel 1871 quando i Savoia vi si trasferirono con l’intera corte. Ma prima di approdare alla Città Eterna, l’Italia unitaria ebbe, tra rivolte e invidie, altri due cuori politici: Torino e Firenze. In occasione dei 160 anni dalla proclamazione di Roma capitale, pubblichiamo l’articolo “Tre capitali per un regno” di Gianpaolo Fissore, tratto da Focus Storia 48.

TORINO: LA PRIMA CAPITALE. “Per vedere Torino nel suo più bell’aspetto, bisogna vederla in occasione di una di quelle grandi feste nazionali, in cui accorrono qui italiani d’ogni provincia. Il popolo torinese è tutto in giro, e in quei giorni rivive anch’esso in quel bel tempo, che par già tanto lontano”. Il nostalgico che scrisse queste parole in un libro intitolato Le tre capitali (1897) è Edmondo De Amicis. E il passato “tanto lontano” è quello della nascita dell’Italia unitaria: il tempo in cui, il 18 febbraio 1861, fu convocato per la prima volta il neoeletto parlamento italiano e quello in cui, il 17 marzo dello stesso anno, Vittorio Emanuele II fu proclamato re d’Italia “per grazia di Dio e volontà della nazione”.

Sfondo di quegli eventi fu Torino, prima capitale d’Italia. Per secoli, fino all’epoca napoleonica, era stata un austero centro burocratico. Ma nell’Ottocento Torino era diventata una città di grandi viali bordeggiati da palazzi aristocratici e dimore borghesi, illuminata dal 1838 (fra le prime in Europa) dall’azzurrognola luce a gas, popolata lungo i portici da rinomati caffè, circondata nei dintorni da ville e palazzine di caccia. Una piccola Parigi. In seguito alla concessione dello Statuto albertino (1848) e alle due guerre sostenute dalla monarchia sabauda contro l’Austria, Torino si era guadagnata il titolo di capitale morale degli indipendentisti.

UFFICI, STRADE E PALAZZI. L’opera diplomatica di Cavour le aveva tolto di dosso l’antica aria di isolamento europeizzandola, mentre la schiera di patrioti che, esuli, vi avevano trovato ospitalità, l’avevano “italianizzata”. Con il nuovo ruolo di capitale, a partire dal 1861 Torino fu nuovamente trasformata: dovevano trovare una sistemazione funzionari pubblici, ministeri con i loro dipendenti e decine di altri uffici governativi. Solo allora molte strade furono pavimentate e spuntarono nuovi palazzi.

Nonostante l’orgoglio dei suoi abitanti, tutti sapevano che Torino non sarebbe stata capitale per sempre. “Non havvi eccezione alcuna. Non havvi unitario che non parli di stabilire sul Campidoglio la sede del suo futuro governo” diceva Giuseppe Ferrari, federalista convinto: l’Italia unita era nata a Torino, ma Roma doveva esserne la capitale.

Già nella storica seduta del 27 marzo 1861, quando Cavour parlò di “libera Chiesa in libero Stato”, la Camera proclamò simbolicamente Roma capitale del nuovo Regno.

LA SCELTA DI FIRENZE. Ma era un obiettivo da rinviare: Napoleone III era schierato a difesa del papato, e il 15 settembre 1864 il primo ministro Marco Minghetti firmò con la Francia un accordo (la Convenzione di settembre) in base alla quale le truppe francesi si sarebbero ritirate da Roma in cambio dell’impegno italiano a non attaccare lo Stato della Chiesa. Un articolo di quell’accordo prevedeva entro sei mesi il trasferimento della capitale in una sede più centrale.

Scartata la candidatura di Napoli, fu scelta – anche su pressione del sovrano francese – Firenze. I torinesi non gradirono. Il 21 settembre fu presa di mira la sede della Gazzetta di Torino, il quotidiano allora più diffuso in città, che nel dare la notizia aveva scritto che sarebbe stato di consolazione per i concittadini sapere che il re sarebbe tornato di tanto in tanto a far loro visita. Sciolta con la forza quella dimostrazione, la sera stessa fu aperto il fuoco sulla folla che protestava in piazza Castello, e all’indomani i disordini proseguirono con saccheggi di negozi, redazioni di giornali e armerie.

I TORINESI SCENDONO IN PIAZZA. Il duro intervento repressivo, affidato al sottosegretario all’Interno Silvio Spaventa (lo stesso della lotta al brigantaggio nel Sud Italia), provocò una cinquantina di morti e circa 170 feriti: il governo Minghetti, accusato dal re di avere calcato troppo la mano con l’esercito, fu costretto, il 23 settembre, alle dimissioni. La folla scesa in piazza era eterogenea: impiegati, operai delle aziende statali, artigiani e manovali. Il comun denominatore era la paura di perdere il lavoro che la presenza del governo significava.

I timori torinesi di diventare “periferia” del regno non erano infondati. Persi la corte, i ministeri, le ambasciate, la banca centrale e la zecca, la città subì un drastico calo demografico, passando rapidamente da 220 mila a 194 mila abitanti. La stessa amministrazione comunale fu colta di sorpresa. Tra il 1861 e il 1864 erano stati approvati ben 47 progetti per l’adeguamento al nuovo ruolo di capitale: le spese già previste si trasformarono in un pesante debito per l’amministrazione.

LA PARTENZA DI VITTORIO EMANUELE II. Emblematico il caso di piazza Statuto, realizzata per ospitare le ambasciate: la società inglese con la quale il Comune aveva stipulato un contratto per l’edificazione dei palazzi si tirò indietro e l’amministrazione torinese dovette completare a proprie spese i lavori.

Gli ennesimi tumulti, scoppiati a Torino a fine gennaio 1865, persuasero infine Vittorio Emanuele II ad accelerare la partenza, che avvenne il 3 febbraio.

Per la corte sabauda insediarsi a Firenze non fu difficile. Come residenza fu scelto lo storico Palazzo Pitti, già abitato dalle dinastie dei Medici e degli Asburgo-Lorena. Una sede che per magnificenza e ricchezza di arredi per le pregiate opere d’arte sparse un po’ ovunque e per il bellissimo giardino di Boboli, poco aveva da invidiare alle più belle regge d’Europa. I fiorentini invece rimasero tiepidi. Intanto, la struttura urbanistica della città non era rapidamente adattabile al nuovo ruolo. Se la corte si era insediata in fretta, si fatico a sistemare l’apparato burocratico-amministrativo arrivato nei mesi successivi. Si calcola che alla fine del 1865 fossero circa 30 mila i nuovi abitanti di una citta che, nel 1864, ne contava complessivamente meno di 120mila.

FIRENZE ACCOGLIE I SAVOIA. Nel 1870 sarebbero quasi raddoppiati, sfiorando i 200 mila. L’operazione urbanistica, battezzata “il Risanamento” dai giornali dell’epoca, si rivelò comunque un buon affare per molti. Sebbene il progetto affidato all’architetto Giuseppe Poggi sia rimasto in parte sulla carta, a causa del successivo trasferimento della capitale a Roma, l’aspetto attuale del capoluogo toscano e in gran parte la conseguenza dei lavori del quinquennio 1865-70.

Si cominciò con la demolizione delle mura esterne, poi si aprirono i grandi viali di circonvallazione del centro citta, aprendo piazza Beccaria e piazza della Libertà e completando il quartiere della Mattonaia. “Adesso Firenze è alquanto più rumorosa e variopinta, la folla nelle strade è enorme. Molta gente è affluita alla capitale” scrisse il romanziere russo Fedor Dostoevskij all’amico Nikolaj Strachov. La neocapitale, in effetti, attirò soprattutto intellettuali: Giovanni Verga, Luigi Capuana, Edmondo De Amicis. Firenze, destinata a cedere il passo a Roma, rimarrà uno dei cuori culturali della nuova Italia.

I fanti e i bersaglieri italiani entrarono a Roma attraverso Porta Pia il 20 settembre 1870, in seguito alla sconfitta francese nella guerra contro la Prussia e con l’impero di Napoleone III ormai finito. “Si direbbe che le case, le piazze, le chiese, le fontane, le scale, le colonne, tutti i monumenti di Roma son stati fatti da una razza d’uomini fisicamente il doppio di noi” scrisse in quei giorni il solito De Amicis, al tempo giornalista embedded al seguito dell’esercito.

IL VITTORIANO: SIMBOLO DELL’ITALIA UNITA. Il 1° luglio 1871 Roma fu proclamata capitale e il giorno dopo sovrano e governo si insediarono.

Una grande frenesia edilizia comincio a sconvolgere la città, che rimase un cantiere aperto per un intero decennio. Il 28 novembre 1871 Palazzo Madama ospitò la prima seduta del Senato italiano. La Camera dei deputati invece si riunì per la prima volta un giorno prima, a Montecitorio. Il Quirinale, la “casa” dei papi, divenne dal 1870 reggia dei Savoia. Nel Pantheon, rompendo la tradizione che voleva i regnanti sabaudi sepolti nella Basilica di Superga a Torino, fu tumulata nel 1878 la salma di Vittorio Emanuele II. Lo seguirono presto Umberto I e sua moglie Margherita. Ma il monumento destinato a diventare il simbolo dell’Unita d’Italia fu il Vittoriano: ideato nel 1878, alla morte di Vittorio Emanuele II, per celebrare il Savoia “padre della patria”.