16 giugno 1976. Soweto, la rivolta, il massacro


45 anni fa prendeva l’avvio nel sangue il lungo cammino del popolo sudafricano verso la libertà

di Antonino Gulisano

Il 16 giugno del 1976 a Soweto, un quartiere nell’estrema periferia di Johannesburg, costruito alla fine della Seconda Guerra mondiale e abitato quasi esclusivamente da neri e indiani (arrivati nella metropoli sudafricana per lavorare nelle miniere), morirono centinaia di persone. Erano per la maggior parte studenti che avevano deciso di protestare contro il governo, senza sapere che sarebbero andati incontro al massacro della polizia.

Cosa aveva portato i giovani per le strade? Un decreto governativo entrato in vigore nel 1975 obbligava tutte le scuole nere del Paese a utilizzare per l’insegnamento inglese e afrikaans, una lingua germanica derivata dall’olandese, vista dalla popolazione nera come “la lingua degli oppressori”.

Il Ministro per l’Istruzione Punt Janson disse, scatenando la rivolta di studenti e docenti neri: «Non ho consultato gli africani sulla questione della lingua e non intendo farlo. Un africano potrebbe trovarsi di fronte a un “capo” che parla afrikaans o che parla inglese. È nel suo interesse conoscere entrambe le lingue».

Contro il provvedimento vennero, quindi, organizzati una serie di scioperi e, il 16 giugno 1976, 20mila giovani delle scuole nere di Johannesburg organizzarono una vera e propria marcia verso lo stadio di Orlando. I manifestanti scelsero la linea pacifica e nelle prime file del corteo esposero cartelli con scritte come: “Non sparateci, non siamo armati”.

Ma quando si trovarono faccia a faccia con la polizia, cominciarono le violenze. Tra le persone che persero la vita c’era anche Hector Pieterson, un bambino di 12 anni (ricordato da una stele all’esterno del Museo dell’apartheid di Johannesburg, costruito nel 2002).

Gli scontri di Soweto (o rivolta di Soweto) furono una serie di scontri che avvennero nella township (baraccopoli) di Soweto (sobborgo di Johannesburg, Sudafrica) nel giugno del 1976.

Dopo la repressione dell’African National Congress negli anni sessanta, la protesta nera contro l’apartheid tacque per diversi anni. Alla metà del decennio successivo, tuttavia, il successo di altre organizzazioni rivoluzionarie nei paesi vicini (quali la Frelimo) alimentò nuove speranze per i neri che intendevano rovesciare il governo afrikaner. L’ANC giunse a formare una propria ala armata (chiamata Umkhonto we Sizwe) e incitò la popolazione africana a “rendere il paese ingovernabile”.

Il numero esatto delle vittime viene stimato, a seconda delle fonti, da 200 a 600. La Reuters dichiarò che i morti erano stati “più di 500”. Il solo governo sudafricano menzionò cifre significativamente diverse, parlando di 23 vittime. Il numero dei feriti fu stimato essere superiore a 1000.

La rivolta contribuì a consolidare il sentimento anti-afrikaner nelle masse nere e la posizione predominante dell’ANC come principale interprete di questo sentimento.

Molti dei cittadini bianchi sudafricani presero parte in modo deciso a favore dei dimostranti, dichiarandosi indignati per il comportamento della polizia. Alle manifestazioni di studenti neri si andarono ad aggiungere quelle degli studenti bianchi (per esempio della University of the Witwatersrand). Dal mondo studentesco, inoltre, la protesta si allargò a diversi settori produttivi, con una catena di scioperi da parte degli operai di molte fabbriche.

Tutti questi fattori portarono il Sudafrica in una situazione di crisi senza precedenti, che ebbe certamente un ruolo importante nella successiva caduta del National Party e nella fine dell’apartheid, sancita definitivamente nel 1994.

Sugli eventi del 1976 è stato in seguito creato un museo a Orlando, intitolato a Hector Pieterson, il dodicenne ucciso all’inizio degli scontri.

La rivolta di Soweto segna l’inizio di una fase per il Sudafrica. Dopo la quiescenza degli anni Sessanta, a partire dal decennio successivo, le nuove generazioni di studenti e di giovani neri sudafricani divennero più consapevoli dell’urgenza di combattere la politica di apartheid e i gruppi che la sostenevano. Lo stesso Nelson Mandela sottolineò come i giovani di Soweto rappresentassero una generazione diversa “più coraggiosa, ribelle, aggressiva; si rifiutavano di prendere ordini e gridavano Amandla! a ogni occasione”.

Ma il lungo cammino verso la libertà del popolo sudafricano non è terminato, perché non ci può essere una vera libertà in un Paese dove ancora una minoranza (il 10%) detiene l’86% della ricchezza nazionale.

In Sudafrica, il 16 giugno viene oggi celebrato come “giornata della gioventù”.