14 marzo 1972, muore il marchese Giangiacomo Feltrinelli di Gargnano, detto “Osvaldo”.


di Ettore Minniti

Feltrinelli, fondatore dell’omonima casa editrice, entrò giovanissimo nelle file del Partito Socialista Italiano, dove conobbe Bianca Dalle Nogare, la sua futura prima moglie. Con la famosa scissione di Palazzo Barberini, scelse di aderire prima al PSDI e poi nel PCI, che Feltrinelli sostenne anche con ingenti contributi finanziari.

Nel  1969, alla tragica notizia della strage di Piazza Fontana, Feltrinelli considerando anche il fatto che nel frattempo si era mobilitato nella formazione dei primi gruppi armati di estrema sinistra,  decise dunque di passare alla clandestinità. Riteneva che dietro agli attentati dinamitardi a Milano ed a Roma non vi fossero, come tutti sospettavano, compreso il PCI dell’epoca, gli anarchici, bensì lo stesso Stato italiano ed i disparati gruppi d’estrema destra, risultando tra i primi ad adoperare, in quella specifica occasione, il termine strategia della tensione.

Nello stesso anno riedita il libro del 1965 di Edouard-Marcel Sumbo Il sangue dei leoni, un manuale militare che illustra tecniche di guerriglia e sabotaggio che le BR considereranno un testo basilare. È sicuro che in Italia stia per avvenire un’occupazione militare e sogna l’azione. Nel frattempo, frequenta Fidel Castro e stringe amicizia con tutti gli intellettuali più radicali.

Nel 1971, nel consolato boliviano ad Amburgo, una pistola registrata a nome di Feltrinelli uccide Roberto Quintanilla, capo della polizia segreta. Tira una brutta aria e Feltrinelli si dà alla clandestinità, rifugiandosi in Carinzia, da cui scrive lettere di fuoco contro tutto e tutti.

Rientrato in Italia, in maniera rocambolesca, costruisce il timer modificando un orologio Lucerne, lo stesso usato nel fallito attentato all’ambasciata statunitense ad Atene il 2 settembre 1970,  poi, a bordo del furgone intestato al futuro primo pentito delle BR raggiunge il traliccio di Segrate. Lo scopo è togliere l’elettricità a Milano e impedire il congresso del Pci al Palalido, che avrebbe visto l’elezione a segretario di Enrico Berlinguer. Sale in cima con il timer collegato a una carica di Dynamon – un esplosivo austriaco – poi esplode.

Il cadavere fu trovato il mattino dopo. Ad indagare il commissario Luigi Calabresi, direttamente mandato in loco dalla Questura.

Alla fatalità del decesso, però, non crede nessuno

Si contrapposero subito due tesi. La prima sostenuta dalla sinistra, in cui si affermava di come la tesi della morte accidentale dell’editore nel mezzo di un’azione di sabotaggio non fosse per nulla convincente, al contrario l’assassino, con il coinvolgimento dei servizi segreti, era la risposta al processo Valpreda, con precise responsabilità della Destra. I dirigenti comunisti erano convinti, almeno all’apparenza, che Feltrinelli fosse stato vittima di un complotto. La seconda sostenuta dalla destra estremista che sosteneva al contrario come Feltrinelli saltò in aria per imperizia dopo aver strattonato i cavi, troppo corti, delle varie cariche che aveva già piazzato su un traliccio mentre stava bellamente seduto sull’esplosivo già innescato.

Le indagini si conclusero nel 1976 con una sentenza-ordinanza del giudice Antonio Amati che avallò la tesi dello scoppio accidentale, rinviando a giudizio 33 persone . Ben 65 indagati vennero invece prosciolti: alcuni per non aver commesso il fatto, altri per insufficienza di prove.

Il processo di primo grado si svolse dal nel 1979. Nell’ultima udienza, prima che i giudici entrassero in camera di consiglio, alcuni brigatisti, tra cui Curcio, in cui c’era scritto: Osvaldo non è una vittima, ma un rivoluzionario caduto combattendo”. Gli imputati brigatisti smentirono così in via definitiva la tesi dell’omicidio.

Il processo si concluse con 11 condanne, 7 assoluzioni, 2 prescrizioni e 9 amnistie[, sentenza poi in gran parte convalidata in appello nel 1981.

La motivazione della sentenza conteneva severe critiche alle forze dell’ordine, e in particolare all’Arma dei carabinieri, accusati di aver pilotato le confessioni di tale Marco Pisetta, operazione da cui erano derivati un grande spreco di risorse umane e di denaro pubblico, nonché l’incriminazione di un centinaio di persone poi risultate innocenti. Contemporaneamente la Procura della Repubblica di Roma veniva esortata ad approfondire la posizione dei colonnelli Michele Santoro e Angelo Pignatelli, sospettati di aver depistato le indagini della magistratura.

La storia si ripete. Il caso della morte di Giangiacomo Feltrinelli diventa uno di quegli omicidi risolti in un modo dagli inquirenti, in un altro dalla stampa e un altro ancora dell’opinione pubblica.