1 maggio: a Istanbul tra scontri e ‘maggio di sangue’


La Giornata mondiale dei Lavoratori, celebrata in tutto il mondo il 1 maggio, e’ in Turchia intrecciata in maniera inestricabile con le vicende storiche e politiche del Paese. Il centro di Istanbul blindato da decine di migliaia di poliziotti (42 mila oggi), migliaia di transenne, decine di blindati e idranti tornano con cadenza annuale a ricordare che in Turchia non c’è alcuna ricorrenza da celebrare, quanto piuttosto uno scontro che le autorita’ vogliono vincere, ma anche una tragedia che i manifestanti sono decisi a commemorare, un bagno di sangue con ancora troppi lati oscuri. Una svolta nella storia del Paese che dal 1977 ha reso questo il giorno di una resa dei conti, quanto di piu’ lontano ci possa essere da un giorno di festa.
Eppure il primo maggio e’ stato designato come una giornata di celebrazioni in Turchia nel 1935 per volere di Mustafa Kemal Ataturk, tuttora considerato il ‘padre’ del Paese che guido’ dal collasso dell’impero ottomano alla fondazione della Repubblica. La “Festa della primavera e dei fiori” rimane una giornata di festa fino al 1976, quando le organizzazioni dei lavoratori organizzano un corteo fiume che invade il centro e Piazza Taksim. Si creano i primi momenti di tensione con la polizia, ma soprattutto questa ‘onda rossa’ che sembra travolgere la Turchia fa storcere il naso a estrema destra e militari. Passa un anno e la storia del 1 maggio turco cambia per sempre:da la “Festa della primavera e dei fiori” diviene il “kanli Mayis”, vale a dire il “Maggio di sangue”. Nel 1977, con il paese in grave crisi economica, l’Unione dei sindacati Rivoluzionari (DISK) organizzo’ una grande manifestazione in Piazza Taksim dove si radunò una folla di mezzo milione di persone. Durante il discorso del Segretario del DISK colpi di arma da fuoco ruppero il silenzio della folla in ascolto, mezzo milione di persone iniziò a correre nel panico scatenando un putiferio alla fine del quale si conteranno 34 morti, centinaia di feriti e 453 arrestati. I primi sospetti ricaddero sul fronte nazionalista di estrema destra, che replicando il modello ‘Gladio’ era riuscito a penetrare i meandri piu’ profondi di Stato e istituzioni. Sono in tanti ad essere convinti che il bagno di sangue fu organizzato con l’ausilio di Paesi stranieri. Le indagini hanno trovato piu’ di un riscontro.
Si tratta di anni in cui gli Usa erano impegnati in una strategia occulta per arrestare l’avanzata dei partiti di sinistra e comunista e Washington non poteva permettersi di perdere un Paese fondamentale. Le indagini della polizia portarono a 98 arresti, tutti rinviati a giudizio e in seguito tutti assolti. I giudici invitarono le autorità a riaprire il caso, ma in seguito al colpo di stato del 12 Settembre 1980 le indagini subirono tutta una serie di depistaggi e rallentamenti, qualsiasi manifestazione fu vietata per 8 anni durante i quali la festa dei lavoratori non fu riconosciuta come ricorrenza. Al potere sali’ il generale Kenan Evren che mise al bando le organizzazioni di sinistra, ordinò arresti di massa ed esecuzioni dopo processi sommari. Una violenza che costituisce una ferita che non si rimarginera’ piu’. E’ in quegli anni il Primo Maggio a Piazza Taksim diviene il giorno della ‘resa dei conti’ tra sindacati e sinistra radicale che si oppongono a forze dell’ordine e autorita’, una giornata in cui i manifestanti cercano, ogni anno senza successo, di superare i cordoni di polizia per accedere a piazza Taksim. Falliscono nell’intento, ma rinnovano la protesta sociale e la richiesta di giustizia e verita’ che non sono mai arrivate.
La fine del processo infatti non ha fatto che acuire la rabbia e mantenere vivo il trauma. Rimane una sola certezza: i cecchini erano appostati sul terrazzo dell’Hotel Intercontinental, i cui piani superiori, in base a quanto riferito durante i processi, erano stati chiusi al personale ed occupati da ‘stranieri che parlavano in inglese’, come risulto’ nel processo, i quali lasciarono l’hotel il giorno dopo la strage. A distanza di tanti anni quell’hotel, che oggi si chiama Marmara, con la sua struttura imponente sovrasta piazza Taksim e divide in due lo skyline della parte europea di Istanbul.
Attorno all’hotel Marmara ogni anno si ripete sempre lo stesso scenario: strade e fermate dei mezzi chiuse al traffico, disagi enormi per residenti, cariche della polizia, lacrimogeni e idranti, arresti, feriti e a volte vittime (come nel 1996). Come ogni anno, anche quest’anno, e andato in scena il conflitto tra governo e dissidenti, potere costituito e oppositori, forze dell’ordine e manifestanti. Non ci sono risultati immediati da raggiungere, ma solo un ruolo da rivendicare all’interno della societa’ turca, una richiesta da rinnovare a gran voce, nella consapevolezza che si rischiano cariche, gas e arresti. Una contrapposizione tra due parti ben definite della societa’ turca, che per il resto (pariti di opposizione inclusi) si tiene alla larga dai luoghi dove la tensione, ogni anno, va sistematicamente alle stelle. Nonostante un imponente apparato di sicurezza Piazza Taksim torna ogni anno ad essere l’obiettivo da raggiungere per chi non vuole accettare l’oblio di quella tragedia e punta il dito verso l’hotel da cui furono seminate morte e terrore che rendono impossibile definire una ‘festa’ il primo maggio in Turchia. (AGI)

TUY/RED