1 giugno 1926. Nasce Marylin Monroe, l’attrice che non si amava


Dell’eterno simbolo d’irraggiungibile bellezza, morta morta suicida nel 1962, resta ancora il mito inviolabile della donna drammaticamente sola, fragile, baciata e uccisa dal mondo patinato e ingannevole di Hollywood

di Franco La Magna

Un travaso dall’attorialità al mito, attrice-simbolo d’irraggiungibile bellezza (ma solo apparentemente, vista la tormentata vita privata), intrisa d’un maledettismo e d’un inestirpabile complesso d’inferiorità per le sue umili origini, Marilyn Monore (pseudonimo di Norma Jeane Mortenson Baker) è stata (ed è ancora tutt’oggi) la sexy-symbol planetaria dalla inarrivabile sensualità, divenuta da semplice pin-up e ragazza-copertina, stellina del firmamento hollywoodiano e infine attrice, subito catturata dall’autorialità registica della Mecca del cinema (Huston, Hawks…), in aperto confronto con le già bellissime e adorate stars Hayworth e Gardner.

Definitivamente entrata nel gotha dei grandi divi venerati da moltitudini di folle plaudenti, con l’esilarante commedia “Gli uomini preferiscono le bionde” (1953) regia di Howard Hawks – già modello di bellezza da imitare per le donne dell’intero pianeta – consolida la sua fama di “ingenua” seduttrice nella satira matrimoniale “Quando la moglie è in vacanza” (1955) firmato da un Billy Wilder che si lascia alle spalle il suo periodo nero, film intriso d’indimenticabili sequenze (la più famosa lo sbuffo d’aria che le solleva la gonna).

Vittima d’un eccesso di notorietà, costantemente tormentata dai media (giornalisti, fotografi…), assolutamente insicura (continuava a ritenersi una pessima attrice), acquista una maggiore cognizione della sue capacità attoriali dopo l’ennesimo successo, ottenuto con un celeberrimo film firmato ancora da Wilder, “A qualcuno piace caldo” (1959), che dichiarò che la Monroe fosse il talento più straordinario mai esistito, clamorosa asserzione pressoché caduta nel vuoto.

Ignorata e perfino derisa dalla critica più engagé e dagli ambienti più esclusivi della Hollywood che conta (ancor più dopo il suo matrimonio con il grande commediografo Arthur Miller, in precedenza aveva sposato Joe Di Maggio, mitico giocatore di baseball statunitense e ancor prima, negli anni ‘40, un ufficiale di polizia), divenuta sempre più bizzarra e ingestibile, mostrò non indifferenti doti recitative nel ruolo drammatico affidatole ne “Gli spostati” (1961) regia di John Huston, che in qualche modo la emenda dal cliché d’attrice soltanto brillante di commedia.

Non riuscì a finire il suo ultimo film, diretto da Cukor e dopo il suicidio, le cui circostanze non furono mai del tutto chiarite, le sue relazioni segrete con i due Kennedy furono rese note, tutti elementi che ne accrebbero il mito ancora inviolabile di donna drammaticamente sola, fragile, baciata e uccisa dal mondo patinato e ingannevole di Hollywood.