La newsletter sugli Stati Uniti a cura di Alessio Marchionna
LA SOLITA STORIA Dopo che Payton S. Gendron, un suprematista bianco di 18 anni, ha ucciso dieci persone e ne ha ferite tre a Buffalo, nello stato di New York, negli Stati Uniti si è parlato soprattutto della pervasività di certe idee estremiste nel dibattito pubblico. In molti hanno preso definitivamente atto del fatto che esiste una continuità – per la verità abbastanza palese ormai da anni – tra terroristi di estrema destra, politici repubblicani e commentatori (soprattutto televisivi) molto influenti. Gendron, che ha scelto di colpire un particolare luogo di Buffalo sapendo che a frequentarlo erano soprattutto gli afroamericani (dieci delle tredici persone a cui Gendron ha sparato erano nere), aveva scritto una sorta di manifesto ideologico in cui faceva riferimento alla cosiddetta teoria della “grande sostituzione”, secondo cui le élite dei paesi occidentali, manipolate dagli ebrei, vogliono “sostituire” gli americani bianchi con stranieri non bianchi.
“Negli ultimi tempi versioni di queste stesse idee, magari ridimensionate e depurate delle parti più esplicitamente razziste e antisemite, sono diventate comuni nel Partito repubblicano”, scrive il New York Times. Newt Gingrich, ex speaker della camera e deputato della Georgia, ha dichiarato che la sinistra sta cercando di “annegare” gli “americani classici”. Elise Stefanik, deputata dello stato di New York, ha scritto su Facebook che i democratici stanno tramando “un’insurrezione elettorale permanente” concedendo “l’amnistia” agli immigrati irregolari, con il fine di “rovesciare il nostro attuale elettorato e creare una maggioranza di sinistra permanente a Washington”.
Ma nessun personaggio pubblico ha promosso la teoria della sostituzione etnica come Tucker Carlson, popolare conduttore della tv di destra Fox News. Dal 2016, da quando gli è stato assegnato uno spazio in prima serata, Carlson sostiene continuamente che sia in atto un cambiamento demografico voluto dalle élite. Un’inchiesta del New York Times pubblicata poche settimane fa ha mostrato che in almeno 400 episodi del suo programma Carlson ha diffuso l’idea che i politici democratici e altre élite vogliano forzare il cambiamento demografico attraverso l’immigrazione. Durante una trasmissione del 2018, rivolgendosi ai democratici, ha detto: “Visto che ne avete fatto il nostro nuovo motto nazionale, potete spiegarci perché dite continuamente che la forza degli Stati Uniti sta nella diversità?”. Una frase molto simile a un passaggio del manifesto di Gendron: “Perché si dice che la diversità è la nostra più grande forza? Viene pronunciato come un mantra e ripetuto all’infinito”.
Secondo un sondaggio recente dell’Associated Press, uno statunitense adulto su tre pensa che sia in corso uno sforzo per “sostituire i nativi americani con gli immigrati per ottenere vantaggi elettorali”. Il sondaggio ha anche rilevato che le persone che guardano soprattutto le emittenti? di destra – Fox News, One America News Network e Newsmax – sono più propense a credere nella teoria della sostituzione rispetto a chi preferisce la Cnn o la Msnbc.
Ma concentrarsi troppo sulla “grande sostituzione” potrebbe essere fuorviante, perché rischia di confondere le idee sulle minacce che il paese si trova ad affrontare. Questa teoria, per come è conosciuta oggi, è stata concepita in Francia, un paese con un lungo passato coloniale e un rapporto con l’immigrazione da sempre molto problematico. Gli Stati Uniti, per quanto incattiviti dalla retorica e dalle politiche di Donald Trump contro gli stranieri, restano un paese di immigrati. E l’uso della teoria della sostituzione sembra essere più che altro una nuova tattica per combattere una vecchia guerra, sempre la stessa: quella contro gli afroamericani. Vale per l’attentatore di Buffalo: come ha fatto notare Keeanga-Yamatta Taylor sul New Yorker, nei messaggi postati da Gendron sui social network dal 2021, la parola “immigrati” compare dodici volte, “sostituzione” diciotto volte, “neri” e “negri” centinaia di volte. E vale anche per Carlson, Trump e altri politici repubblicani, che sembrano aver trovato nella teoria della sostituzione un modo più presentabile per promuovere un risentimento antico.
L’aspetto più inquietante è che la destra è riuscita a portare argomenti reazionari al centro del dibattito pubblico in un periodo in cui in teoria avrebbe dovuto essere sulla difensiva. Dopo l’omicidio di George Floyd, le proteste antirazziste, la sconfitta di Trump e soprattutto l’assalto al congresso del 6 gennaio 2021, si era tentati di credere che il paese sarebbe stato costretto a fare i conti con problemi a lungo sottovalutati – il razzismo nelle istituzioni e la violenza politica – e che per i politici repubblicani sarebbe diventato politicamente sconveniente assecondare la fazione più estremista. In realtà è successo il contrario. Semplicemente, con un presidente democratico alla Casa Bianca e una maggioranza democratica al congresso, la battaglia si è spostata da Washington agli stati, diventando meno visibile ma forse anche più efficace.
È in questo quadro, sostiene Keeanga-Yamatta Taylor, che va letta l’offensiva dei repubblicani sull’insegnamento della storia: “In molti stati sono state approvate leggi che limitano drasticamente i modi in cui la schiavitù e altri aspetti della storia razzista dell’America possono essere discussi nelle aule. Diciassette stati hanno firmato leggi che vietano o limitano l’insegnamento della critical race theory, del razzismo e del sessismo, e altri dodici stanno prendendo in considerazione provvedimenti simili. Si è cercato di vietare libri che parlano di razzismo. Le riunioni dei consigli scolastici sono diventati palcoscenici per un teatro politico che enfatizza le lamentele dei genitori bianchi e nega la realtà della discriminazione razziale”.
Fonte: Internazionale