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America2020: tre spettacoli e un benvenuto per Bill Clinton

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AGI – In America sono in cartellone tre spettacoli in contemporanea: la corsa pazza di Wall Street, la convention dei democratici e la campagna di Trump. Vediamo come vanno le cose al box office.

Wall Street ha frantumato stasera il muro del suono della ripresa, dopo 126 giorni dal picco del coronavirus, l’indice S&P 500 ha superato il precedente record di 3386,15 del 19 febbraio scorso, cancellando un crollo storico (-34%) nei mesi di febbraio e marzo che aveva fermato la corsa del “toro”, la crescita più lunga della storia. Quest’anno l’indice S&P guadagna circa il 5%. In piena pandemia. La più veloce ripresa da una fase “orso” della storia di Wall Street. L’ascesa non è solo dei titoli hi-tech (il Nasdaq ha guadagnato anche oggi un + 0,73%) ma dell’energia e delle costruzioni, titoli colpiti dalla crisi del coronavirus. Il mercato sta comprando un’espansione dell’economia.

Donald vs Michelle: “Siediti e guarda!”

La campagna di Trump ha il radar fisso sui dati economici e… sui “socialisti”, rappresentati dalla coppia Biden-Harris. Il presidente è in tour elettorale, il suo bersaglio si materializza, è Michelle Obama, serie di tweet con un invito finale: “Qualcuno spieghi per favore a Michelle Obama che Donald J. Trump non sarebbe qui, nella bellissima Casa Bianca, se non fosse stato per il lavoro fatto dal marito Barack Obama. Io e la mia amministrazione, abbiamo costruito la più grande economia nella storia di qualsiasi Paese, abbiamo salvato milioni di vite ed ora sto costruendo una economia ancora più grande di prima. I posti di lavoro abbondano, il Nasdaq è già ad un livello record, il resto verrà. Torna a sederti e guarda!”. L’economia, la Borsa, i posti di lavoro. Trump batterà il ferro caldo della riapertura e della ripresa. I voti sono qui.

E poi? E poi ci sono i democratici, che sono in netto vantaggio, possono battere Trump agevolmente, ma sembrano darsi da fare per perdere, hanno un evidente problema di storytelling. Com’è andata la convention virtuale? Sembrava uno di quegli aperitivi da coronavirus su Zoom, una tristezza che ti viene voglia di iscriverti alla prima sezione degli alcolisti anonimi. Se c’è qualcosa che la pandemia ci ha confermato è che il caro vecchio spettacolo dove si recita dal vivo (e la va o la spacca) dal Globe di Shakespeare al Majestic di Broadway, sullo schermo non funziona. La realtà nel teatro non può essere cancellata, trasformata e scodellata in pixel. E i grandi eventi politici sono teatro. Ancora peggio se al cocktail su Zoom aggiungi un copione dove il lutto e il disastro non sono esorcizzati con un twist di speranza, una strambata d’ottimismo, una sventagliata fresca d’utopia. L’American Dream non è morto perché i dem hanno deciso che sotto l’amministrazione Trump è defunto, esiste e si fa (e disfa) ogni giorno, soprattutto dove governano i Democratici.

Nella seconda giornata ci sarà la nomina formale di Joe Biden per la presidenza e parlerà Bill Clinton, un uomo che ha carisma, ritmo, fiuto politico e senso dello spettacolo, speriamo che la vecchiaia (ha 73 anni) non l’abbia arrugginito e riporti tra i Democratici quell’immaginario che è sempre stato uno degli ingredienti del progressismo americano. Come vedremo, Clinton ha qualche problema con certe foto pubblicate dal Daily Mail, ma per uno come lui tutto è superabile.

La prima giornata, terminata alle 5.00 del mattino ora italiana, aveva un prezzo del biglietto (la notte insonne e i postumi del day after) che francamente non valeva lo spettacolo. La pensa così anche Real Clear Politics: “Quando Michelle Obama ha finalmente concluso l’azione, i Braves hanno scioccato i National con un drammatico home run nel 9° inning”. Quello dell’ex First Lady era l’intervento più atteso, da un certo minuto in poi è diventato un tormento dal quale liberarsi, non arrivava al punto da chiudere: votate per Biden. Elementare, Watson.

I dem avevano l’obiettivo di far sentire le diverse voci dell’America, ci hanno provato, il risultato è che il tono era quello di un rosario. Perfino la raffinata e luminosa presenza di Eva Longoria è diventata opaca. Un’occasione persa, speriamo nel secondo ciak stasera.

Sceneggiatura al cloroformio

Scegliendo come filo narrativo i temi del Black Live Matter e la crisi del coronavirus, si dirà che il percorso era destinato a finire al lumicino, ma bruciarsi in maniera così maldestra l’ottima intuizione dell’incipit della Costituzione americana, “We The People”, con una sceneggiatura al cloroformio è un delitto. Rari momenti buoni, fiumi di monotonia, tante cose da sistemare in corsa. Riusciranno nell’impresa? Abbiamo un biglietto anche per stasera, Bill non ce lo perdiamo.

Biden faceva Biden, niente di nuovo, è imbalsamato come un Trump  qualsiasi è avvinghiato a Twitter e come The Donald anche Joe sbrilluccica di trucco nel disperato tentativo di mascherare l’età. Si è parlato di George Floyd, della polizia violenta, Biden ha detto di ricordare le sue parole. Zero sorpresa, fa parte del programma. Giro di dichiarazioni di cittadini qualsiasi (l’uomo della strada, si direbbe), un classico “Town Hall format” (domande e risposte aperte), l’America dei tanti, degli invisibili, della diversità, della complessità. Quella che Trump non riesce a unire e che secondo i dem anzi punta a dividere. È qui che emerge la devastate assenza e insostituibilità del… palcoscenico. Il deputato democratico (e di colore) Jim Clyburn s’impappina al via ma riparte, dice che serve un presidente capace di “unire le persone” e che Biden “is a good man”, una brava persona. Compare un ex Marine, Kevin Penn, fa un lavoro unico e benemerito, assiste le famiglie dei militari che hanno perso i propri cari in battaglia. E vota per Biden. Ricompare Eva Longoria che ha la stessa grave espressione congelata dell’inizio del film che non è un film. C’è vita nell’universo, compare Andrew Cuomo che ha il potere di consumare la pazienza (poca) di Trump come la batteria di un iPhone: snocciola il “fallimento” della gestione del coronavirus da parte della Casa Bianca, perché “la nazione dopo sei mesi è ancora impreparata” (e Trump perfidamente risponde twittando un’intervista dove Cuomo si complimenta con l’amministrazione), ci sono le “lezioni critiche” del coronavirus, “negative e positive”. Cuomo è un tipo tosto, ha l’espressione diretta (fu lui a dire “prenderemo il virus a calci nel culo”) e dunque “noi siamo l’America e noi vinciamo le guerre” (è dal Vietnam che non ne azzeccano una), quindi “il governo conta, la leadership conta e serve un leader che sappia unire e io conosco quell’uomo, è Joe Biden”. Finalmente uno che sa tenere in piedi un discorso politico e va dritto al punto.

Un giro intorno al Covid

Il voto dichiarato per Biden da Kristin Urquiza, il padre morto di coronavirus, è un capitolo delicato della campagna, appare sopra le righe, ma tutto è alterato in questa lotta senza fine, i colpi sopra e sotto la cintura volano. E li tirano tutti da entrambe le parti. Parlano gli infermieri, gli operatori sanitari. Il capitolo del Covid-19 in America è squadernato, lotta politica durissima. Tutti in mascherina – una costante in una guerra di immagini dove l’America responsabile si auto-rappresenta democratica, è una battaglia tra due mondi, la collisione dell’immaginario di un’America doppia, divisa, frantumata. È un passaggio dalla tv del dolore alla convention del dolore. Che c’è, tanto, non è di una sola parte politica e la sua evocazione continua pone problemi di comunicazione molto grandi – per tutti – e il rischio di un effetto boomerang.

Viene toccata per niente piano dai dem la crisi del Postal Service e naturalmente le manipolazioni di Trump sul voto per corrispondenza. Tutto è giocato contro The Donald. Dov’è il “per” qualcosa, il programma? Nel primo giro di giostra non emerge, l’imperativo è mandare via dalla Casa Bianca Trump, l’opposizione al presidente che abbiamo visto emergere con forza nei sondaggi. Eva Longoria è sempre compita. Quando compaiono gli esponenti politici si presenta il tema (e c’è poco da ridere, nel format è un serio problema di scenografia che scatena la fantasia dei social) dello sfondo, del luogo da dove parlano e di quello che negli anni Ottanta era chiamato tamarrianamente “il look”. Girandola di voci. È il turno  di Gretchen Whitmer, governatrice del Michigan (giacca di pelle in agosto), bandiere dello Stato con l’elk e il cervo – scorrono i nomi di alcune delle vittime, tributo in stile New York Times con prima pagina-lapide (e siamo sempre in un registro stilistico “in memoriam”) – torna Eva Longaria (pietrificata nell’espressione d’esordio), parla una donna, ma la regia in uno sforzo di simbolismo da cinepresaro della domenica s’inventa un’inquadratura (dall’alto, la prova si fa sempre più complicata) di un uomo al bivio… è John Kasich (Alexandria Ocasio-Cortez lo ama a tal punto da stirarlo con l’amido via Twitter sulla questione dell’aborto), il prototipo del nuovo modello in pista per queste elezioni, il repubblicano-pentito-per-Biden che Kasich definisce come “l’uomo” giusto” per “i nostri tempi”. Il repubblicano Chris Christie lo apostroferà oggi con un tocco dark da Fantasma dell’Opera: “Pugnalatore alle spalle”, una cosa lieve tra ex amici conservatori.

Tocca a Doug Jones, senatore dell’Alabama, ricompare la Longoria, ma lo sguardo è ormai rapito dalla bucolica immagine di una cucina (sì, proprio quella, “the kitchen”) dove la senatrice Catherine Marie Cortez Masto dal Nevada presenta sullo sfondo del video qualcosa che ha la sospetta sagoma di un pacco di cereali Kellogg’s, ma mostra la scritta “Joe” al pubblico a casa che è colto da labirintite acuta perché non sa più cosa guardare: osservare i fornelli, misurare a occhio il tavolo o indovinare cosa è quel “Joe” che fa capolino tra le stoviglie.

Cento sfumature di Biden

Mezzopiano su Longoria, sospirante. È il momento della Amy Klobuchar, una brava, ma se parla più di tre minuti perde il contatto con la base lunare Alpha, tira fuori qualcosa di concreto, ma solo un accenno, sul “Buy American” di Biden che dovrebbe defenestrare “America First” di Trump, trattandosi di programma politico si abbandona rapidamente per tornare al nemico e dunque “vogliamo un presidente per tutta l’America”. Cory Booker dice qualcosa, ma arriva subito “Beto” O’Rourke, quello che doveva stracciare tutti perché piaceva ai giornali e quindi è finito regolarmente fuori pista. Carrellata di foto dell’America in mascherina, immagini semi-patinate di Biden patriottico, Biden marziale, Biden addolorato, Biden figlio, Biden padre, Biden nonno. E sia chiaro che la missione è “never lost a job”, non si perde neanche un posto di lavoro. Come? Stasera è un dettaglio e domani è un altro giorno disse Rossella ‘O Hara. Si vorrebbe essere idealmente in una scena di Spike Lee ne “La 25esima ora” (il rullo di tamburi, la bandiera americana che sventola sull’auto che attraversa il deserto, un dettaglio da maestro e un super Edward Norton), ma in realtà l’impressione è quella di assistere a un Superquark dell’America Liberal in cerca d’autore.

Compare nonno Bernie e finalmente decolla qualcosa dal pianeta democratico. Lassù nel Vermont in pieno agosto deve fare freschetto, alle spalle del senatore sempre perdente e sempre gioiosamente in pista c’è un pitagorico assemblaggio di ciocchi di legna, materiale che di solito serve per il camino. In attesa di scoprire l’arcano da piromani, Sanders offre un saggio delle sue capacità metaforico-incendiarie evocando quella sagoma della cetra e dell’incendio: l’America brucia, “Trump è come Nerone”. L’enfasi del senatore punta a mobilitare la sua base – che non ama certo Biden – e Sanders fa il suo lavoro egregiamente: “Abbiamo bisogno di Joe Biden presidente, dunque dobbiamo spostare in maniera forte il nostro movimento in questa direzione”. Enfasi, il momento è grave, perciò “la mia campagna è finita sette mesi fa, ma dobbiamo continuare per preservare la democrazia”, evitare il deragliamento della campagna e le manovre di Trump sul Postal Service, per Sanders c’è in ballo tutto, perfino “il futuro del pianeta”. Apocalittico. Inquadratura di una grandinata di applausi sullo Zoom democratico e via con la parte che conta, c’è lei: Michelle.

Messa in piega à la Michelle, occhi d’ossidiana acuminati come frecce, la prende alla lontana e dice subito che “the job is hard”, il lavoro da fare è duro, “Biden non è perfetto” (e lo sa anche lui), ma “Trump è il presidente sbagliato”. Seguono considerazioni a zig zag sulla politica (“non mi piace”, detto mentre fa politica al massimo livello sulla Terra), sul fatto che “essere presidente non cambia quello che sei”, e bisogna avere “empatia” e “saper camminare nelle scarpe di un altro”. Michelle è in una fase dove l’elettore si scaglia sul lettino freudiano. Cambia l’inquadratura, siamo al quinto minuto e la cosa comincia ad essere fuori dalla dimensione popcorn ma “Biden sa tutto questo”. Il discorso si fa intricato, bisogna fare “come nel 2008 e nel 2012” (dettaglio, c’era Obama, un fuoriclasse del discorso politico), bisogna “indossare la mascherina”, “fare la fila”, “andare a votare”. Per chi? Quello che “non è perfetto”, Joe Biden. Finalmente è arrivata al traguardo.

Il primo giorno se n’è andato così, in quella che il New York Times ha definito così: “No Applause, No Crowds: Democrats Begin a Most Unusual Convention”. Niente applausi. Niente folla. Una convention davvero inusuale. E da raddrizzare. Tra poco toccherà a Bill Clinton che oggi ha avuto il benvenuto dal comitato d’accoglienza del Daily Mail: il tabloid inglese ha pubblicato le foto dell’ex presidente (allora 56enne) mentre si fa massaggiare il collo dalla 22enne Chauntae Davies, che viaggiava con l’aereo privato di Epstein, il “Lolita Express”. Un servizio fotografico completo, a poche ore dal suo discorso per la convention dei dem. Non è Nabokov, è America 2020.

Vedi: America2020: tre spettacoli e un benvenuto per Bill Clinton
Fonte: estero agi


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