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America2020: Spie e disinformatia, obiettivo Casa Bianca

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AGI – Si può far eleggere un presidente come si può muovere un burattino? No, soprattutto se il paese è l’America, ma il mestiere dell’intelligence è quello di sempre: osservare e annotare, fotografare e registrare, incontrare e parlare, mostrare e nascondere, ricattare e adulare, favorire e ostacolare, sabotare e supportare, rubare e rivendere, hackerare  e disseminare.

La faccenda è complessa, oscura, tentacolare, pericolosa, oscilla come il pendolo di Edgar Alan Poe tra la tentazione del letto e quella del trono, tra il servire su un piatto d’argento in una festa di gala e la pena di scavare una buca nel deserto (per finirvi dentro), entri dalla porta di un grande albergo, esci dal retro una bisca, inoculi un virus in un server, quel nemico bussa alla tua porta. Non era lontano, era là, ti controllava a sua volta. Tutti spiano tutti. E spiare non basta, qualche volta bisogna uccidere.

Le elezioni americane sono il luogo dove tutti si danno appuntamento ogni quattro anni per dare un’occhiata in giro e provare a fare il vecchio gioco.

Come nel 2016, il copione si ripete, ma a differenza di allora, l’amministrazione è avvisata, non dorme (o fa finta di) come quella di Obama mentre i russi cercavano di infiltrare la campagna di Trump e hackeravano i computer dei democratici. Nel 2016 lo scudo americano non c’era e se c’era era di burro, nel 2020 la partita a scacchi è iniziata con un gran sventolìo di bandiere da tutte le parti. Siamo di fronte a un grande spettacolo, il TikTok delle spie, è tutto visibile. Attenzione al calendario e all’orologio, procediamo con ordine.

Cosa ha detto Mike Pompeo

Il 5 agosto il segretario di Stato Mike Pompeo fa la sua conferenza stampa al Dipartimento di Stato, parla di cybersicurezza, del piano per le “Reti pulite”, di spionaggio e, con una deviazione improvvisa evoca la “Russia e altri attori maligni” e annuncia: “Il programma Rewards for Justice del Dipartimento di Stato offre una ricompensa fino a 10 milioni di dollari per informazioni che portano all’identificazione o localizzazione di qualsiasi persona che, agendo sotto la direzione o il controllo di un governo straniero, interferisce con le elezioni negli Stati Uniti impegnandosi in attività cyber criminali”.

Il cronista annota la frase sul taccuino e si chiede: cosa sta succedendo? Pompeo appende il manifesto della taglia da 10 milioni di dollari in un contesto più ampio, dove al centro c’è la Cina hi-tech, il caso TikTok e Huawei, la cyberguerra con Pechino. Suona un po’ strano, un colpo di gong in un concerto d’archi.

Il riferimento a Mosca fa riemergere gli appunti sul Russiagate, tutto partì da un dossier confezionato da un’ex spia del servizio segreto britannico MI6, Christopher David Steele, in servizio dal 1987 al 2009, capo del Russia desk a Londra. Un dossier falso che serviva a far deragliare la campagna di Trump, utilizzato dai Democratici come elemento da classica “dirty campaign”, poi diventato base per la prima indagine dell’Fbi, fino all’arrivo dell’inchiesta condotta dallo special counsel Robert Mueller e all’impeachment di Trump. Fu un buco nell’acqua, ma servì a tenere sotto pressione, logorare la Casa Bianca. Si chiama lotta politica.

Lo stesso giorno, il 5 agosto, l’ufficio del Global Engagement Center (GEC) del Dipartimento di Stato pubblica un report sulla Russia. È un dossier molto interessante sulle attività di disinformazione, l’apparato della cara vecchia “disinformatia” dei tempi d’oro del Cremlino è in servizio permanente effettivo. Vediamone alcuni passaggi, si parte dalla base, il sistema di creazione, manipolazione e diffusione delle false informazioni:

–  “Non esiste un’unica piattaforma mediatica dove si distribuiscono propaganda e disinformazione. Né c’è uniformità di messaggi tra le diverse fonti”.

–  “Questo ecosistema riflette sia le fonti di disinformazione che le dichiarazioni ufficiali del governo, i mezzi di comunicazione finanziati dallo Stato, i siti web proxy, i bot, i falsi personaggi dei social media, le operazioni di disinformazione cyber. Questo approccio dà alla Russia tre vantaggi percepiti. In primo luogo, consente l’introduzione di numerose varianti delle stesse false narrazioni. Questo permette ai diversi pilastri dell’ecosistema di mettere a punto le loro narrazioni di disinformazione in modo che si adattino ai diversi destinatari, non c’è bisogno di coerenza, come ci sarebbe con le comunicazioni governative. In secondo luogo, fornisce la possibilità plausibile per i funzionari del Cremlino di negare responsabilità quando i siti proxy vendono disinformazioni sfacciate e pericolose, permettendo loro di deviare le critiche pur introducendo informazioni false. In terzo luogo, crea un effetto moltiplicatore mediatico tra i diversi pilastri dell’ecosistema che ne amplifica la portata e la risonanza”.

–  “Questo approccio permette alla Russia di essere opportunista, come nel caso di COVID-19, dove ha usato la pandemia globale come un gancio per spingere la disinformazione e le narrazioni propagandistiche di lunga data”.

Ecosistema della disinformatia

Ecco l’ecosistema della disinformatia ricostruito nel grafico del Dipartimento di Stato:

Il caso oggetto di studio è quello del Covid-19, dalla Russia parte una campagna cospiratoria: il virus è stato creato dagli Stati Uniti. Come funziona? Guardate questo secondo grafico del GEC:

Si parte dalle fonti ufficiali, da un’intervista di Zveda tv a un “esperto”, poi il nazionalista russo Zhirinovsky parla di “arma biologica” statunitense in un’intervista, i siti filorussi diffondono la notizia, il racconto rimbalza sugli account dei social media, RT e Sputnik la amplificano. Così nasce una notizia falsa che nel mondo della comunicazione mainstream e della Rete diventa “vera”.

Si avvelenano i pozzi e c’è chi beve l’acqua. Il report è molto dettagliato, fa un elenco (non esaustivo, ma esemplare) di siti filorussi, legati direttamente o indirettamente al Cremlino, cita gli autori più prolifici e influenti, i link palesi e meno visibili del network (basta andare un po’ in giro nella rete e clic dopo clic si finisce alle cospirazioni del Voltaire Network dove oggi Thierry Meyssan scrive che “Israele ha distrutto Beirut Est con una nuova arma”), mostra l’effetto moltiplicatore sui social media.

Il Dipartimento di Stato getta una luce su questa “rete informale”, con lo scopo di “dimostrare come i contenuti prodotti e amplificati da questi siti consentano la proliferazione della disinformazione e della propaganda attraverso altri pilastri dell’ecosistema”.

Tra i siti proxy citati nel rapporto ci sono Strategic Culture Foundation (legata al ministero degli Esteri della Russia), Global Research (sede in Canada, cospirazioni ovunque), New Eastern Outlook (una pubblicazione dell’Istituto di Studi Orientali dell’Accademia Russa delle Scienze, definita come”peudo-accademica”), News Front (basato in Crimea, supporta le operazioni della Russia in Ucraina), SouthFront (specializzata sulla difesa e operazioni militari), Katehon (sede a Mosca, con “chiari legami con lo Stato russo e i servizi di intelligence”), Geopolitica.ru (ispirato da Aleksandr Dugin, teorico della nuova Eurasia).

Siamo al 5 agosto, sul radar dell’amministrazione americana non c’è solo la Cina di TikTok e WeChat, anche la Russia fa la sua parte. Si muovono le pedine sulla scacchiera. Qualche giorno dopo, compare un altro tassello di questa storia.

La rivelazione del controspionaggio

Il 7 agosto, ieri, il direttore del National Counterintelligence and Security Center, William Evanina (nominato da Trump e confermato dal Senato il 6 maggio scorso) comunica al mondo che Russia e Cina sono sul pezzo, stanno lavorando per influenzare le elezioni presidenziali. Cosa dice il capo del controspionaggio?

Racconta che “in vista delle elezioni americane del 2020, gli Stati stranieri continueranno a usare misure di influenza occulta e palese” per “influenzare gli elettori americani, cambiare le politiche statunitensi, aumentare la discordia negli Stati Uniti e minare la fiducia del popolo americano nel nostro processo democratico”. Fin qui, no news. “Possono anche cercare di compromettere la nostra infrastruttura elettorale”, dice Evanina, “interferire con il processo di voto, rubare dati sensibili o mettere in discussione la validità dei risultati elettorali”.

Anche questo è un dejà vu e in ogni caso “sarebbe difficile per i nostri avversari interferire o manipolare i risultati delle votazioni su vasta scala”. Saltato il preambolo, ecco la notizia: “Molti attori stranieri hanno una preferenza per chi vince le elezioni, che esprimono con dichiarazioni palesi e private; gli sforzi di influenza occulta sono più rari. Siamo preoccupati soprattutto per l’attività in corso e potenziale di Cina, Russia e Iran”. Eccoli qua, i tre hotspot, punti caldi, della politica estera americana. Evanina fa un elenco che offre uno scenario per ognuno di questi tre paesi, vediamolo.

La Cina non vuole Trump 

La valutazione del controspionaggio americano è che la Cina “preferisce che il presidente Trump – che Pechino considera imprevedibile – non vinca la rielezione”. Così apprendiamo che “la Cina sta espandendo la sua influenza in vista del novembre 2020 per plasmare il contesto politico negli Stati Uniti, fare pressione sulle figure politiche che vede in contrasto con gli interessi della Cina e deviare e controbattere alle critiche nei suoi confronti”.

Strategia cinese? A Pechino valutano i pro e i contro di una politica aggressiva nei confronti degli Stati Uniti, ma “negli ultimi mesi” Pechino “è diventata sempre più critica nei confronti della risposta dell’attuale amministrazione al Covid-19, della chiusura del consolato cinese di Houston” e “ha criticato duramente le dichiarazioni e le azioni dell’amministrazione su Hong Kong, TikTok, lo status legale del Mar Cinese Meridionale e gli sforzi della Cina per dominare il mercato 5G”. Pechino riconosce che tutti questi sforzi potrebbero influenzare la corsa presidenziale.

La Russia vuole Trump

Qui il gioco d’intelligence è rovesciato, secondo il controspionaggio americano la Russia sta lavorando “per per denigrare principalmente l’ex vicepresidente Biden e ciò che vede come un “establishment” anti-russo. Questo è coerente con la critica pubblica moscovita nei suoi confronti quando era vicepresidente per il suo ruolo nella politica dell’amministrazione Obama sull’Ucraina e il suo sostegno all’opposizione anti-Putin all’interno della Russia. Ad esempio, il parlamentare ucraino filo-russo Andriy Derkach sta diffondendo denunce di corruzione per minare la candidatura dell’ex vicepresidente Biden e del Partito Democratico. Alcuni attori legati al Cremlino stanno anche cercando di promuovere la candidatura del presidente Trump sui social media e sulla televisione russa”.

l’Iran non vuole Trump

Sarebbe una sorpresa il contrario, dunque “l’Iran cerca di minare le istituzioni democratiche statunitensi, il presidente Trump, e di dividere il Paese in vista delle elezioni del 2020”. Strumenti per raggiungere l’obiettivo? “Gli sforzi dell’Iran in questo senso si concentreranno probabilmente sull’influenza on-line, come la diffusione di disinformazione sui social media e la diffusione di contenuti anti-americani.

La motivazione di Teheran a condurre tali attività è, in parte, guidata dalla percezione che la rielezione del presidente Trump porterebbe a una proseguimento della pressione degli Stati Uniti sull’Iran nel tentativo di fomentare il cambio di regime”.

I tre fronti che si incrociano

Il quadro ora è più chiaro e tutte le pedine stanno andando a dama in vista dell’elezione del 3 novembre. L’amministrazione americana è impegnata su tre fronti:

1. Contenimento dell’espansione economica e militare della Cina (Pechino ieri ha consegnato sei droni da attacco alla Serbia, primo Paese europeo a schierare velivoli senza pilota militari di fabbricazione cinese), cyberguerra aperta con Pechino sulla sicurezza della Reti (bando di TikTok e WeChat, stretta sui giganti delle telecomunicazioni), reazione al giro di vite di Xi Jinping su Hong Kong e sanzioni americane sull’ex colonia britannica (l’amministrazione si prepara a colpire anche la governatrice di Hong Kong Carrie Lam e altri dirigenti cinesi);
2. Riposizionamento delle truppe in Europa (spostamento dalla Germania verso altri paesi), appoggio agli Stati confinanti con l’ex “Cortina di ferro” (in particolare alla Polonia) e negoziato sui missili a corto e medio raggio aperto con la Russia (con la richiesta, rifiutata da Pechino, di partecipazione della Cina al tavolo);
3. Blocco del programma nucleare iraniano, dello sviluppo dei missili balistici di Teheran e sicurezza nel Golfo.

Cina, Russia e Iran hanno i loro interessi in gioco, il tema è quello della linea della politica estera americana di domani, i due candidati alla Casa Bianca sono profondamente diversi nel carattere, una loro vittoria (o sconfitta) offre pro e contro, secondo la visione degli avversari della scena internazionale.

Il fronte è doppio, interno e esterno. Il negoziato tra Repubblicani e Democratici sulle nuove misure per contrastare la caduta dell’economia è in stallo, Trump è vicino alla decisione di varare ordini esecutivi per estendere i sussidi di disoccupazione, il rinnovo della moratoria sugli sfratti e il rinvio del rimborso dei prestiti studenteschi. Lo farà? Lo vedremo presto, il segretario del Tesoro, Steve Mnuchin, ha detto che accadrà. Sarà un fine settimana d’attesa.

Ogni mossa è legata al voto, il calendario corre, il 3 novembre s’avvicina e oggi, 8 agosto, in un gioco di date e storie che si inseguono, ricorre la data delle dimissioni di Richard Nixon dalla presidenza degli Stati Uniti. Pianse, dicono per la prima volta nella sua vita, interruppe le trasmissioni televisive e annunciò la sua fine politica. Watergate. Correva l’anno 1974, era un’altra America.

Vedi: America2020: Spie e disinformatia, obiettivo Casa Bianca
Fonte: estero agi


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