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America 2020:  Questo vince, questo perde. Il sudoku di Trump

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AGI – Chiede Macbeth: “A che punto è la notte?”. Risponde Lady Macbeth: “All’ora incerta che comincia a lottare col mattino”. Questo passaggio della tragedia di Shakespeare ci serve per introdurre la nostra domanda: “A che punto è la notte americana?”. La luce e il buio sono intrecciati come amanti, un tamburo risuona lontano. Il Labour Day è volato via con i falò sulle spiagge dell’Atlantico, le bandiere di Trump sulle coste del Texas e della Florida, la campagna di Biden sembra ancora in cerca d’autore, la strategia del coronavirus sembra non essere sufficiente per blindare la vittoria democratica. Il 2020 non è il 2016 – è ancora più difficile, spinoso, intricato e rovente – Trump non è più un outsider, non può essere considerato un uomo che non fa parte dell’establishment (e questo dovrebbe essere uno svantaggio per lui), ma quello che continua a sorprendere è il sentimento dei suoi sostenitori.

In Texas, uno Stato importante che molti pensano possa passare ai Democratici, dei sostenitori di Biden non si vede il segno. Ci sono, ovvio, ma sembrano dimessi, come se avessero un presentimento. Così l’iconografia di questa campagna è più “trumpiana” di quanto lo fosse nel 2016. I sondaggi continuano a dare Biden in testa e nella media di Real Clear Politics ha un vantaggio di 7.1 punti, ma il “rumore” di fondo che echeggia sul taccuino del cronista è di altra tonalità: è il tamburo, The Donald. Forse è un’illusione, forse le urne diranno altro, certo è che siamo di fronte a qualcosa di “visibile”. Che cosa?

I sostenitori di Trump sono usciti allo scoperto

Sono entusiasti, rumorosi e soprattutto numerosi. Sono i sostenitori di Trump che sono usciti allo scoperto in massa nel lungo weekend del Labor Day. In migliaia hanno partecipato alla “Great America Boat Parade”, mega parate nautiche organizzate in almeno nove città Usa, dalla California alla South Carolina passando per l’Arizona, il Texas, la Georgia, la Florida e fino al Michigan, per diffondere il verbo di ‘The Donald’, con uno straccio di distanziamento sociale nell’era del coronavirus e con un focus particolare sugli Stati contesi della Sun Belt e dei Great Lakes. Bandiere, cartelli, striscioni e improbabili gadget, compresi i salvagenti-ciambella con la faccia e le mani del presidente in rilievo. Il trionfo del kitsch elettorale.

Sul lago Travis, lungo il Colorado River alla porte di Austin, la capitale del Texas, le barche erano talmente tante che quattro sono colate a picco. Non proprio l’impresa di Nelson, tutto qui fa colore. Chi è rimasto in spiaggia per il ponte, senza avventure da marinaio, dalla East alla West Coast, non è stato da meno. C’è chi ha messo la faccia di Trump sul gazebo per ripararsi dal sole, rigorosamente con in colori della bandiera americana. A Freeport, in Texas, le golf cart con cui ci si sposta al mare (perché nello Stato della Stella solitaria camminare è da snob e si va su quattro ruote anche sul bagnasciuga) erano imbandierate per “altri 4 anni di Trump”, disegnato in versione Rambo o pirata.

Si inneggia al secondo emendamento della Costituzione americana, quello che garantisce il diritto a portare armi. “Come and get it”, si legge su un banner con il cannone di Alamo. “Non lasceremo che i democratici ci tolgano i fucili”, assicura un fan che si chiama Kirk. “Joe Biden non ha chance”. Nella spiaggia di Freeport elettori democratici proprio non se ne vedevano, questo resta sul taccuino. C’erano? Allora si nascondevano. Un entusiasmo che non è certo sfuggito a una sagoma come Trump, dato in netto recupero sullo sfidante democratico mentre soffia sul fuoco delle tensioni razziali al grido di legge e ordine e promette un vaccino anti-Covid prima della scadenza elettorale del 3 novembre. Trump che fa Trump. “I veri sondaggi iniziamo ad apparire grandiosi – twittava all’alba l’inquilino della Casa Bianca – la nostra vittoria sarà ancora più grande di quella del 2016. Gli anarchici della sinistra radicale, gli istigatori, i saccheggiatori o i semplici lunatici non saranno felici ma dovranno comportarsi bene”.

 

“Stay away, stop taking our Trump signs”, strilla un cartello davanti ad un’abitazione di Houston (che pure elegge sindaci democratici dal 1982) intimando di smetterla di rubare cartelli  a sostegno del capo della Casa Bianca, che a quanto pare sono ricercati al punto da innescare la fase manolesta. “Me ne hanno rubati cinque o sei, anche al mio vicino”, riferisce Gwen, una trumpiana di ferro, con marito medico scettico sul Covid.

Negli Usa muore più gente di influenza che di coronavirus – spiega – solo che i democratici non vogliono dirlo”.  Negli States il coronavirus ha contagiato oltre 6 milioni di persone, i morti sono quasi 190 mila  e si stima che potrebbero arrivare a 255 mila entro il primo novembre (Modello Ihme). E se l’ultimo sondaggio di Cnn rileva come solo il 40% degli americani approvi l’operato del presidente sulla gestione della pandemia contro il 55% che disapprova, il comandate in capo ha annunciato l’arrivo “di un nuovo vaccini, a breve” nonché  “la più imponente e grande ripresa finanziaria della storia. Il prossimo anno – cinguetta – sarà il migliore di sempre a meno che non diventi presidente un tipo sonnolento che alzerebbe massicciamente le vostre tasse e in tal caso, crash”.

Ogni riferimento a Biden è puramente voluto. La correzione pesante di Wall Street è un asteroide in rotta di collisione con questa narrazione (mentre scriviamo, siamo a tre quarti di seduta, l’indice S&P 500 perde l’1,62%, l’indice Nasdaq è a quota -2,49%) ma Trump e i suoi consiglieri economici pensano che l’economia reale stia reagendo bene e insieme allo slogan “legge e ordine” il messaggio della ripresa dell’economia è l’altro pilastro dei repubblicani.

Una corsa bella e brutta

Siamo entrati nella fase decisiva della campagna presidenziale, mancano meno di due mesi al voto, siamo a otto settimane esatte dal giorno in cui gli americani sceglieranno chi guiderà il paese. Ancora Trump? O sarà un “rieccolo” come Biden? La corsa è bella e brutta (sempre Macbeth, le tre streghe: “Fair is foul, and foul is fair”, il bello è brutto e il brutto è bello), Biden cerca di tenere la linea del referendum contro Trump, ma deve fare i conti con lo zig zag del presidente che durante la convention dei repubblicani ha strambato, impresso un’altra direzione di marcia, cambiato spartito e portato in primo piano il tema della guerriglia urbana e dei movimenti radicali che orbitano nella galassia dei democratici.

Biden, che aveva impostato il pilota automatico verso la Casa Bianca, è stato costretto a inseguire The Donald per “coprirsi” il fianco, il problema è che stenta a ritrovare una propria direzione e continua a stare sulla scia di Trump. Risultato? A differenza di un mese fa, nessuno tra gli analisti più seri continua a dare Joe per vincente sicuro, il candidato dem è ancora il favorito, tra i due è quello messo meglio e ha grandi probabilità di fare il pieno, al netto però di troppe incognite che no possono esser taciute se si fa un’analisi serie dello scenario, prima di tutto il fatto che i numeri di Trump nei sondaggi sono sottostimati a causa della reticenza dei suoi elettori nel rispondere sinceramente alle domande via telefono (abbiamo pubblicato su questa serie di America2020 i risultati molto interessanti di uno studio di Cloudresearch). Non è un dettaglio, sono numeri che possono falsare una previsione.

Joe rischia la fine di Hillary?

Non a caso Nate Silver su Five Thirty Eight ha cominciato a presentare i due piani inclinati della campagna: l’affermazione nel voto popolare  e la vittoria nell’Electoral College. Biden potrebbe fare la stessa fine di Hillary Clinton nel 2016, più è ampio il distacco  percentuale tra i due candidati, più alte sono le possibilità di vittoria di Biden. Ma la corsa sembra destinata ad essere serrata. Con una differenza di un solo punto le possibilità di affermazione del candidato dem sono solo del 6%, tra  1 e 2 punti salgono al 22%, tra i 2 e i 3 punti si arriva al 46% di probabilità di vittoria e via così. 

A cosa serve questo conteggio? A segnalare un iceberg alla deriva che va dritto sulla rotta di Biden, perché se la corsa alla Casa Bianca sarà decisa da un pugno di voti, pur essendo il favorito nel voto popolare (che probabilmente vincerà), il suo rischio di ritrovarsi con una sconfitta da spiegare agli elettori dopo aver guidato tutta la gara, è altissimo. La memoria aiuta a capire bene cosa potrebbe accadere: sarebbe la stessa scena della sera in cui Hillary Clinton non si presentò sul palco davanti ai sostenitori dem e al suo posto parlò uno smarrito John Podesta. Hillary era in preda a uno shock nervoso per la sconfitta subita. Per chi suona la campana?

Per arrivare a centrare questo (per ora lontano) risultato Trump deve viaggiare a tutto spiano negli Stati in bilico (cosa che sta facendo) e battere Biden nella raccolta dei fondi da investire nel marketing politico. È Trump il candidato “underdog”, quello che sta inseguendo chi guida la corsa. Secondo Bloomberg Trump ha discusso con gli strateghi della sua campagna un investimento personale (soldi suoi) di 100 milioni di dollari. Finora la raccolta fondi della campagna del presidente aveva superato quella di Biden, ma il candidato democratico ha battuto il record in agosto con una raccolta pari a 365 milioni di dollari. La vecchia regola, “Follow the Money”, è sempre valida e Trump la conosce bene. Nel Gran Premio della Casa Bianca, il carburante non è mai abbastanza, servono soldi. 

La classifica di Forbes

La torcida della curva liberal urlerà che Trump da quando è presidente è diventato un uomo più ricco di prima. Risposta sbagliata, è più potente, ma non è più ricco. Lui ha sempre sostenuto di aver perso dei soldi nella avventura politica, pochi gli hanno creduto (non ha mai fornito i dati della sua dichiarazione dei redditi e su questo Biden lo pizzica continuamente) una classifica di Forbes mette il timbro a sorpresa su questa affermazione: Trump secondo la classifica di Forbes ha un patrimonio di 2,5 miliardi di dollari, è calato al 339 posto, prima delle elezioni presidenziali, nell’ottobre 2016, The Donald aveva un patrimonio personale di 3,7 miliardi di dollari. In quattro anni Trump ha perso 1,2 miliardi di dollari. In ogni caso, possiamo dire che se la passa sempre benne. Un po’ meno sul piano dei sondaggi, quelli per ora lo danno sempre perdente. E lui fa una campagna all’ultimo respiro perché uno come lui può perdere soldi, ma non la sfida con Biden.

Appuntamenti? Oggi Trump va in Florida, a Jupiter, in agenda c’è un discorso sull’ambiente, parte della campagna che punta sui temi dove Trump deve catturare altri consensi, convincere gli indecisi, marcare l’avversario. Trasferimento dalla Casa Bianca alla base di Andrews, decollo con l’Air Force One, direzione Palm Beach, trasferimento al faro e museo di Jupiter, un’area naturale bellissima. La campagna per i candidati è faticosa, l’agenda è piena, si attraversa il paese. Fatta la tappa in Florida, dopo un’ora Trump decollerà di nuovo, altra rotta, si va verso Winston-Salem, in North Carolina, atterraggio alle 18:40 allo Smith Reynolds Airport, set preparato in pista (è uno degli elementi scenografici di questa campagna, l’Air Force One che rulla fino al luogo dove poi il presidente terrà il suo comizio), discorso alle 19, partenza per il rientro a Washington alle 20:30, arrivo a Andrews, trasferimento e sbarco sul North Portico della Casa Bianca alle 22.10. E non si tratta neanche di uno dei giorni più movimentati. 

Agenda dei prossimi giorni? Il 10 settembre alle 19.00 sarà a Freeland, nello Stato chiave del Michigan (arriva il giorno dopo una visita di Joe Biden, il gioco della marcatura tra i due candidati è totale), il 12 settembre a Reno, in Nevada e il giorno dopo sempre nello stesso Stato, ma in una Las Vegas colpita dalla crisi del coronavirus.

L’11 settembre si avvicina

In mezzo a questo calendario c’è una data simbolica: l’11 settembre, giorno in cui si commemorano i morti negli attentati alle Torri Gemelle di New York e al Pentagono, a Washington. Trump arriverà a Johnstown, in Pennsylvania (uno dei swing State), per ricordare gli eroi del volo United Airlines 93 che si ribellarono ai dirottatori. L’aereo precipitò nella campagna di Shankville, la storia è stata raccontata nel film di  Paul Greengrass e il tema dell’eroismo darà probabilmente a Trump il gancio che gli serve per tornare sul suo legame con le forze armate, un punto delicato dopo le rivelazioni dell’Atlantic (smentite e confermate dalla rivista, pur essendo fonti anonime) che hanno creato un polverone. Uno degli uomini più vicini a Trump, Dan Scavino, nei giorni scorsi ha bombardato i social con le immagini del presidente in fase Commander in Chief, segno che   c’è la necessità di convincere gli elettori che Trump non disprezza il sacrificio dei soldati americani, anche nelle guerre perse come quella del Vietnam.

Domanda sul taccuino: Perché Trump va in Nevada, uno Stato che di solito non è così importante nel voto presidenziale? A cosa serve tutto questo? Che domande, a migliorare il gioco degli incastri. Che gioco è? Trump ha una strategia, il suo obiettivo non è una vittoria nel voto popolare (ma i voti ovviamente vanno conquistati uno per uno), The Donald guarda agli Stati chiave e combina possibili sconfitte e vittorie, ognuna delle quali ha un numero + o – di grandi elettori che servono per entrare (o uscire, nel suo caso) dalla Casa Bianca.

Un sudoku elettorale da mal di testa

Il gioco di Trump fa venire il mal di testa, lo spiega uno stratega del voto, Keith Naughton, su The Hill: Trump “potrebbe perdere il Michigan e la Pennsylvania e vincere comunque se riuscisse a tenere tutto il resto“. Ma il Wisconsin potrebbe passare ai dem, ecco allora che Trump “deve trovare 10 voti elettorali”, dunque ha bisogno del Nevada che ha 6 grandi elettori, del New Hampshire (4) e del New Mexico (5), con la speranza poi di conquistare il Minnesota (10). Il Minnesota in questo momento per lui sarebbe meglio del Wisconsin, in Pennsylvania la partita è aperta e addirittura Trump potrebbe diventare presidente perdendo il Michigan, tenendo il Wisconsin (o scambiarlo con il Minnesota), vincere la Pennsylvania e poi perdere una combinazione di Stati tra Arizona e Georgia o North Carolina. Le combinazioni possibili sono anche altre, ma è dato per solido il fatto che se Trump perde in Ohio, lo stato dove scorre il “grande fiume”, allora affonda anche negli altri Stati in bilico del Midwest. Che rompicapo, il sudoku elettorale di Trump.

Vedi: America 2020:  Questo vince, questo perde. Il sudoku di Trump
Fonte: estero agi


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