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Altri 62 morti nelle proteste in Myanmar, rinviato il processo a Suu Kyi

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AGI – In Myanmar, è stata rinviata – perché mancava la connessione Internet – l’udienza in tribunale per Aung San Suu Kyi: lo ha riferito il suo avvocato, Khin Maung Zaw, sostenendo che la nuova udienza si terrà il 24 marzo.

Premio Nobel per la Pace nel 1991 e di fatto capo del governo civile che è stato defenestrato con il golpe del primo marzo, San Suu Kyi deve rispondere di almeno quattro capi d’imputazione: importazione illegale di walkie-talkie, mancato rispetto delle restrizioni legate al coronavirus, violazione di una legge sulle telecomunicazioni e incitazioni ai disordini.

L’interruzione degli scambi via web

Nel Paese rimane interrotto l’accesso alla rete soprattutto dai cellulari, uno strumento fondamentale per lo scambio di informazioni tra i manifestanti. La connessione Wi-Fi, invece, è stata ristabilita alle 6:30 ora locale dopo il solito taglio notturno, ma la trasmissione dei dati tramite smartphone continua ad essere bloccata

Le interruzioni notturne di Internet sono diventate abituali dopo il golpe. La mancanza di connessione è stata confermata da diversi utenti su Twitter, per esempio l’attrice e attivista May Toe Khine, che si è lamentata della difficoltà di ottenere notizie dai partecipanti alle proteste.

Il nuovo bilancio dei morti

Secondo il giornale Irrawaddy Times, almeno tre persone sono state uccise a Myingyan, vicino alla città di Mandalay, nella giornata di lunedì. A queste va aggiunto un numero imprecisato di manifestanti sono rimasti feriti quando soldati e polizia hanno aperto il fuoco.

Nel frattempo, il giornale online Myanmar Now ha contato almeno 59 morti e 129 feriti nella sola Yangon, la città più popolosa, nella giornata di domenica 14 marzo, il giorno più sanguinoso finora dall’inizio del golpe militare del primo febbraio. “I medici e le squadre di soccorso credono che il numero reale sia molto più alto”, si legge.

Gli incendi e la reazione della Cina

Durante il weekend, sempre a Yangon, 32 fabbriche tessili di proprietà di uomini d’affari cinesi sono andate a fuoco, secondo fonti di Pechino, provocando la reazione dell’ambasciata che ha chiesto alle autorità di arrestare gli autori degli incendi e “garantire la sicurezza delle aziende e del personale”.

Il giornale cinese Global Times, riportando fonti dell’ambasciata, ha detto che due lavoratori cinesi sono stati feriti e che i danni alle fabbriche costeranno circa 37 milioni di dollari (31 milioni di euro).

“La priorità assoluta è impedire il verificarsi di nuovi sanguinosi conflitti e ottenere un raffreddamento della situazione il prima possibile”, ha sottolineato il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Zhao Lijian. La Cina, ha aggiunto, “sta seguendo molto da vicino l’evolversi della situazione”.

Il Movimento di Disobbedienza Civile, che organizza le manifestazioni contro la giunta militare a livello nazionale, incolpa i militari per gli incendi. “La giunta terrorista è pienamente responsabile dell’incendio delle fabbriche cinesi”, hanno attaccato su suo Twitter.

Pechino ha esercitato il suo veto nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu per non condannare il colpo di stato in Birmania, che è visto da molti dei manifestanti come un esplicito sostegno del gigante asiatico ai militari che, visti i disordini,  hanno annunciato l’estensione della legge marziale a diverse aree industriali e densamente popolate a Yangon e Mandalay.

Source: agi


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