Al Bellini di Catania il capolavoro di Donizetti
Sette repliche dal 19 al 27 aprile per la “Lucia di Lammermoor” Sul podio Stefano Ranzani, regia di Giandomenico Vaccari, protagonisti Maria Grazia Schiavo, Francesco Demuro, Christian Federici e George Andguladze
“Un gelo mi serpeggia nel sen!”. Immersa nel freddo siderale del dolore, l’eroina più iconica della galleria donizettiana esce di scena delirante, privata dell’amore che la infiammava e ormai preda della rovinosa follia che la condurrà alla morte. Musica e versi, quelli di Lucia di Lammermoor, che da quasi due secoli emozionano le platee per la soggiogante evocazione dell’afflato protoromantico. Lo conferma la crescente attesa per l’allestimento che sarà in scena al Teatro Massimo Bellini per sette repliche dal 19 al 27 aprile. Sul podio salirà Stefano Ranzani, protagonista del panorama direttoriale internazionale. La regia porta la prestigiosa firma di Giandomenico Vaccari. Le scene, i costumi e le proiezioni, frutto della creatività di Alfredo Troisi, ci immergeranno nell’atmosfera incantata, e quasi ossianica, della Scozia del XVII secolo.
Di levatura internazionale il doppio cast vocale che vedrà i soprani Maria Grazia Schiavo e Irina Dubrovskaya alternarsi nel ruolo del titolo; i tenori Francesco Demuro e Giulio Pelligra in quello di Edgardo; i baritoni Christian Federici e Francesco Landolfi nei panni di Enrico, fratello di Lucia; i bassi George Andguladze e Gaetano Triscari in quelli di Raimondo. Nelle parti di fianco i tenori Marco Puggioni e Andrea Schifaudo si succederano in quella dello ‘sposino’ Arturo; a sostenere Lucia sarà l’amica Alisa, interpretata dal soprano Claudia Ceraulo; il tenore Nicola Pamio sarà Normanno, capo degli armigeri di Enrico. In prima linea le masse artistiche dell’ente lirico catanese, Orchestra e Coro, quest’ultimo preparato da Luigi Petrozziello.
Passioni brucianti e raggelanti delusioni: il melodramma ottocentesco non conosce misure. E Gaetano Donizetti è tra gli alfieri più risoluti. «Io voglio affetti e non battaglie in scena. Io voglio amore, ché senza questo i soggetti sono freddi, e amor violento.» Così predicava in quel 1835 che doveva rivelarsi anno tra i più fausti della sua produzione: incastonata tra Marino Faliero e Maria Stuarda, Lucia di Lammermoor, tenuta a battesimo al Teatro di San Carlo di Napoli il 26 settembre, è il titolo che meglio rappresenta la drammaturgia musicale del Bergamasco. Tanti i motivi della fortuna dell’opera, a cominciare dalla scelta del librettista partenopeo Salvadore Cammarano di attingere a The Bride of Lammermoor, romanzo di Walter Scott, licenziato nel 1819 e che aveva trovato la via del palcoscenico sin dal 1827. Al centro dell’azione, ambientata sul finire del XVI secolo, la rivalità tra le famiglie Ashton e Ravenswood, di cui rimangono vittime – novelli Giulietta e Romeo – i due protagonisti, miss Lucia e il valoroso Edgardo. Sfondo palpitante della vicenda è una Scozia che è autentico tripudio dell’immaginario romantico, tra lune piene e castelli aviti, invendicati fantasmi e diruti sepolcreti, scenario ideale di una gothic novel che trova riscontro tanto nella tavolozza orchestrale – sin dai sinistri corni che punteggiano l’Introduzione – quanto nella scrittura vocale, pregna di una travolgente felicità melodica. E benché Lucia di Lammermoor svetti come una preziosa sintesi delle convenzioni operistiche di primo Ottocento, pure Donizetti non rinuncia a un’inesausta ricerca sperimentale, che per esempio gli suggerisce di collocare dopo la virtuosistica scena della pazzia di Lucia un finale dedicato al suicidio di Edgardo: l’una e l’altro laceranti exit strategies che certificano un insanabile mal de vivre. Un destino ineluttabile plana sulla tragedia, capace di sublimare l’amore nella dimensione oltremondana: autentica scuola di sentimenti, alla quale si sarebbero abbeverate numerose eroine romantiche, a cominciare da Emma Bovary, che in Lucia trova lo specchio della sua passione.
“La nostra scelta – sottolinea il regista Giandomenico Vaccari – è stata quella di rappresentare la tragica predestinazione che grava come un macigno sulla vita e sul destino dei fratelli Ashton: Enrico e Lucia. Un odio per procura, terribile ed irredimibile, istillato a viva forza dai genitori, per la famiglia dei Ravenswood a cui il vecchio Ashton ha sottratto con una serie di intrighi, potere e possedimenti. Così è cresciuto Enrico, oppresso ed obbligato ad un sentimento ereditato che ha come conseguenza il terrore che Edgardo, l’ultimo dei Ravenswood possa un giorno vendicarsi. Per cercare di superare questa paralisi che lo opprime, Ashton compie dei passi politici azzardati e li sbaglia completamente. Altro non gli resta che combinare un matrimonio conveniente della sorella per trovare nuove protezioni. I due fratelli sono malati, paranoici, perseguitati in continuazione da visioni di spiriti maligni che solo loro percepiscono e da cui sono attratti e terrorizzati.
L’amore fra Lucia ed Edgardo, anima innocente e sfortunata al pari della povera giovane, è un beffardo incidente di percorso che frantumerà questo nero castello di ossessioni e porterà tutti protagonisti alla loro fine fisica e morale. Nello spazio di pochi respiri vitali vedremo i personaggi odiare, mentire, falsificare lettere, impazzire, uccidere e darsi la morte, circondati dalle tenebre, dal freddo e da fantasmi mai paghi dell’umana perdizione. Alla fine, prendendo in prestito le parole di Joyce, cadrà la neve sui vivi e sui morti.”
Fonte: Settore Comunicazione e Ufficio Stampa Teatro Massimo Bellini