Cosa nostra vecchia e Cosa nostra (quasi) nuova. Al bivio e in balia di ambizioni, arresti e vuoti di comando. La Cupola 2.0: demolita da investigatori e giudici due anni fa e poi sconfessata nel nome dei boss di un tempo tornati in liberta’: “Io sono Cosa nostra – diceva Giulio Caporrimo – loro sono Cosa come ci viene… “. E i rivali durante un summit su un gommone: “Come può dire devono sciogliere la Commissione?”.
La mafia che apre una nuova filiale-famiglia nell’enclave dello Zen con un suo capo, Giuseppe Cusimano, oggi arrestato, e che è la stessa dei pacchi alimentari usati per placare la fame e acquisire il consenso delle famiglie rese piu’ povere dal Covid durante il lockdown. Gli assalti da guerra per fare cassa con cui pagare stipendi a ‘soldati’ e ‘generali’ e sussidi ai detenuti. Imprenditori che pagano il pizzo, altri che si ribellano… è stata battezzata “Bivio” l’operazione del carabinieri che ha sferrato un duro colpo a un mandamento strategico di Cosa nostra palermitana, quale quello di Tommaso Natale.
La procura ha emesso un provvedimento di fermo di indiziato di delitto nei confronti di 16 indagati per associazione per delinquere di tipo mafioso, tentato omicidio, estorsioni consumate e tentate aggravate, danneggiamento seguito da incendio, minacce aggravate, detenzione abusiva di armi da fuoco. L’indagine, coordinata dal procuratore aggiunto Salvatore De Luca, è l’ulteriore esito dell’attivita’ condotta dal Nucleo Investigativo sul mandamento mafioso e sulle famiglie di Tommaso Natale, Partanna Mondello e Zen-Pallavicino.
Documentata la costituzione di una nuova famiglia, “Zen-Pallavicino”, dotata di esplosivo al plastico e armi da guerra per assaltare portavalori e distributori di benzina e incassare denaro destinato ad affiliati e detenuti. Una potenza di fuoco che doveva servire anche a sopprimere i ‘cani sciolti’, ma che è stata arginata dall’attivita’ investigativa.
Così come è venuta fuori la gestione in quel quartiere, da parte del boss, della distribuzione di cibo, soprattutto durante il lockdown da coronavirus dell’anno scorso. Registrate forti tensioni tra i vertici designati dalla nuova Cupola ricostituitasi nel 2018 e i vecchi boss: alla fine sono stati quest’ultimi a prevalere, sconfessando la nuova commissione provinciale.
Insomma, Cosa nostra contro Cosa nostra, con l’organizzazione davanti a un bivio (da qui il nome dell’operazione): accettare la ricostituita Cupola, oppure rimettere in discussione tutto attraverso le persone piu’ carismatiche rimesse in libertà, come Giulio Caporrimo.
La commissione provinciale di Cosa nostra palermitana, riunitasi il 29 maggio 2018 dopo quasi trent’anni di inattività, e smantellata a seguito dell’operazione “Cupola 2.0”, ha di certo condizionato in un primo tempo le dinamiche del mandamento mafioso. Infatti, in linea con le regole stabilite, il nuovo reggente del mandamento, Francesco Palumeri, si è reso protagonista, suscitando forti frizioni interne, della riorganizzazione degli assetti, dopo il momento di criticità conseguente al blitz dei carabinieri scattato il 4 dicembre 2018.
Anche quanto venuto fuori dall’indagine “Teneo” del 23 giugno 2020, aveva dimostrato che il mandamento mafioso di Tommaso Natale, almeno fino al maggio 2018, era controllato da Nunzio Serio. La famiglia mafiosa di Partanna Mondello era affidata alla reggenza di Francesco Palumeri, mentre quella di Tommaso Natale era nelle mani di Antonino Vitamia. Già in quel periodo si era compreso che il territorio della borgata dello Zen, strategicamente determinante, era affidato alla reggenza di Giuseppe Cusimano. Composizione aggiornata al marzo 2018; ma già il successivo 14 maggio Nunzio Serio era stato nuovamente arrestato e al suo posto era subentrato Calogero Lo Piccolo.
Il 29 maggio 2018 si era tenuta la riunione della ricostituita commissione provinciale. A questo incontro, cosi’ come confermato dai collaboratori Filippo Bisconti e Francesco Colletti, aveva preso parte il nuovo capo del mandamento, Lo Piccolo, che era stato accompagnato proprio da Francesco Palumeri, individuato come suo portavoce, e dunque vice del suo capo poi tratto in arresto.
Qui entra in scena Giulio Caporrimo che durante la realizzazione dell’ambizioso cambiamento nell’assetto mafioso era detenuto, ma una volta riacquistata la liberta’ il 24 maggio 2019, si era scontrato con una nuova leadership. Si vedeva sottoposto a un Francesco Palumeri che non riconosceva come suo leader e non riteneva all’altezza.
Allo stesso modo, un boss influente e di vecchio stampo come Caporrimo non riteneva ammissibile quello che era accaduto con la riformulazione della commissione, perchè avrebbe violato una delle regole principali: si è mafiosi fino alla morte e si mantiene l’incarico di vertice anche nel corso della detenzione.
Caporrimo, quindi, di li’ a breve decise di stabilirsi a Firenze per prendere dalla nuova organizzazione definita da lui non come Cosa nostra, ma come “Cosa come ci viene. Io sono Cosa nostra”. E ancora: “A me non mi interessa e neanche l’appoggio, lasciamo perdere…”. E gli ‘avversari’ nel corso di una riunione su un gommone al largo del mare di Sferracavallo: “Come puo’ dire sciogliere la Commissione. Non si possono fare tre mandamenti… come fanno a decidere…”.
“Di contro, la decisione di defilarsi di Caporrimo ha dimostrato la iniziale piena vigenza delle decisioni prese dalla nuova commissione provinciale. Francesco Palumeri, in quanto portavoce e vice di Calogero Lo Piccolo, ha avuto quindi il titolo formale per imporsi su Caporrimo che ha dovuto, almeno al momento, soccombere. Si sente una voce intercettata che dice minaccioso: “Se qualcuno lo vuole insegnato, io sono qua a disposizione”.
Cosa nostra, organizzazione verticistica, con regole precise, si è trovata davanti a un ‘bivio’: la strada segnata dalla nuova Cupola, oppure seguire i carismatici boss di un tempo tornati in libertà, come Caporrimo. Quest’ultimo, dopo avere trascorso un periodo di isolamento a Firenze, è rientrato a Palermo l’11 aprile 2020, riuscendo in poco tempo ad accentrare nuovamente le più delicate dinamiche del mandamento, senza spargimenti di sangue che pure era disposto ad affrontare.
Appoggiato dalla sua base mafiosa sul territorio (Antonino Vitamia, capo della famiglia di Tommaso Natale, Franco Adelfio, di Partanna Mondello, e Cusimano, ai vertici della famiglia Zen/Pallavicino) ha dunque ripreso in mano le redini, sino all’arresto nel giugno 2020.
Registrata la nascita, nel mandamento, della famiglia mafiosa di Zen-Pallavicino, affidata al boss Giuseppe Cusimano, il ‘rè dei ‘pacchi Covid’ – oggi fermato – con l’aiuto di Francesco L’Abate, con problemi gestionali dovuti alla violenza di gruppi di non affiliati a Cosa nostra.
Fra i tanti momenti di tensione si è registrato, lo scorso settembre 2020, un vero e proprio duello tra due gruppi armati (uno composto da Andrea e Carmelo Barone appoggiati da Giuseppe Cusimano), affrontatisi armi in pugno, in pieno giorno e in strada, esplodendo svariati colpi di pistola. Fatti che hanno indotto i vertici mafiosi a prendere provvedimenti nei confronti dei riottosi, meditando la soppressione di alcuni ‘non allineati’, sventati dagli investigatori.
Sempre allo Zen, i vertici mafiosi hanno anche tentato di accreditarsi quali referenti in grado di fornire aiuti in tempo di Covid. Giuseppe Cusimano, infatti, presentandosi come punto di riferimento per le tante famiglie indigenti del quartiere, ha tentato di organizzare una distribuzione alimentare durante la prima fase di lockdown del 2020. Una circostanza, sottolineano gli investigatori, che dimostra come Cosa nostra “è sempre alla ricerca di quel consenso sociale e di quel riconoscimento sul territorio, indispensabili per l’esercizio del potere mafioso”.
Forte in tutto il mandamento la pressione estorsiva ai danni di imprenditori e commercianti, finalizzata, da una parte, a imporre i mezzi d’opera di alcuni affiliati mafiosi a tutti gli imprenditori impegnati in attivita’ edili; dall’altra a riscuotere il pizzo in maniera capillare, pena incendi e danneggiamenti. Ricostruite 13 attività estorsive aggravate dal metodo mafioso (10 commesse e 3 tentate), nonché due danneggiamenti seguiti da incendio contro imprese. Hanno collaborato con gli investigatori, denunciando i fatti, cinque imprenditori.
Pianificate, infine, rapine a portavalori e distributori di benzina, da commettere anche con armi automatiche da guerra ed esplosivo al plastico. L’intento dei vertici della famiglia dello Zen era quello di assaltare, usando proprio le armi e l’esplosivo di cui evidentemente dispongono, un portavalori di una società di vigilanza per assicurarsi liquidità da riutilizzare per il sostentamento degli affiliati liberi e detenuti.
Stesso progetto ai danni di un distributore di benzina dotato di vigilanza armata: il gruppo di Cusimano non avrebbe esitato a usare le armi per neutralizzare il vigilante e rapinare l’esercizio commerciale.
Fonte: cronaca agi