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Ada Ascarelli Sereni

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Di Mario Stella Richter, Paola Cosmacini –  fonte@enciclopediadelledonne.it

Aveva un volto bellissimo: solare e volitivo; il volto degli Ascarelli. Ada Ascarelli nasce a Roma il 20 giugno 1905 da Ettore (1874-1919) ed Emma Tagliacozzo (1882-1978) e discende da una antica e illustre famiglia di ebrei sefarditi, stabilitasi a Roma dopo la cacciata dalla Spagna, di cui aveva fatto parte secoli prima Debora. Il padre – figlio di Tranquillo, presidente dell’Università israelitica, e di Rosa Sereni – muore quando Ada s’iscrive al liceo. La madre, invece, vivrà a lungo, dopo essere sfuggita al rastrellamento del 16 ottobre 1943 essendosi rifugiata presso il convento delle suore di Notre-Dame de Sion.

La giovane Ada frequenta il ginnasio-liceo T. Mamiani di Roma, dove conosce il migliore allievo della scuola: Enzo Sereni (1905-1944). I due si innamorano e a vent’anni si sposano. Belli, intelligenti, della buona borghesia romana, pare che abbiano dinanzi a loro una vita tranquilla e un avvenire di successi. Ma Enzo, che aderisce con trasporto al movimento sionista (un sionismo non ideale, ma reale, fattivo e di stampo socialista), dopo aver ottenuto la laurea in filosofia, e Ada, che abbandona la Facoltà di lettere alla quale si era iscritta, nel 1926 comunicano alle famiglie la decisione di mettere in pratica il loro sogno: “fare l’alyah” (letteralmente “fare la salita”), migrare in Palestina e lasciare l’Italia fascista.

Pertanto, due anni dopo il matrimonio, con la loro bambina Hana, Ada e Enzo partono per costruire Erez Israel, la Terra d’Israele. Per loro l’utopia si fa realtà: saranno tra i primi halutz (pionieri) per servire di esempio ad altri giovani. Il gesto non è compreso ed è contrastato dalle famiglie per le quali la patria era l’Italia e la integrazione degli ebrei era considerata un fatto acquisito, soprattutto dopo la “prova” della Prima Guerra Mondiale nella quale vi era stata una grande partecipazione della comunità israelitica italiana (partirono in cinque mila, la metà dei quali come ufficiali, stante il più avanzato grado d’istruzione degli ebrei rispetto alla media nazionale). Scriverà Ada:

Ricordavo mio padre, la sua fierezza d’esser italiano, la sua sicurezza che le persecuzioni contro gli ebrei – dei quali si sentiva discendente come altri avrebbero potuto esserlo di anglosassoni o francesi o altro – appartenessero ad un passato oscurantista debellato per sempre dal pensiero moderno.1

Nel 1928, in Palestina, contribuiscono a fondare a sud di Tel Aviv il grande kibbutz Ghivat Brenner, ancora oggi uno dei maggiori di Israele. Lì nascono Hagar e Daniel.

Nel 1944 Enzo – che non ha mai smesso di fare politica, di viaggiare, di studiare – si arruola nella Brigata ebraica dell’esercito inglese; e quando l’Hagana e il Palmach, le due formazioni militari dell’Yishuv, decidono di lanciare alcuni uomini dietro le linee tedesche per prendere contatto con gli ebrei e incitarli a combattere, Enzo, malgrado la supplica di Ada di non partire, è tra questi. Sotto le mentite spoglie di un ufficiale inglese (di nome Samuel Barda) è paracadutato nella notte tra il 14 e il 15 maggio 1944 nell’Italia settentrionale, oltre la linea gotica.

Scomparirà e Ada, finita la guerra, tornerà in Italia alla ricerca del marito. Scoprirà che, dopo essere stato paracadutato, Enzo era stato fatto prigioniero a Maggiano di Lucca, torturato a Verona e, dopo essere transitato nel campo di Bolzano, internato a Dachau. Nel campo di concentramento egli era “l’uomo che dava quotidianamente quelle intelligenti parole di incoraggiamento che erano indispensabili per evitare il collasso morale”2. A Dachau viene fucilato il 18 novembre 1944.

Conosciuta la tragica fine di Enzo, Ada resta in Italia. Qui si impegna nel movimento legato alla immigrazione clandestina, cioè al trasferimento in Palestina dei sopravvissuti della shoah, che, come scrisse, la “trascina nel suo vortice”. Ada ha così modo di continuare l’opera intrapresa dal marito e sognata da entrambi, dedicandosi con energia e passione al viaggio di migliaia di ebrei verso la Terra Promessa: l’Alyah Beth (“immigrazione numero due”). La clandestinità era obbligata poiché l’immigrazione era sostanzialmente proibita a seguito dei Libri Bianchi o, comunque, fortemente contingentata in base a quanto disposto dal British White Paper del 1939. Il Regno Unito, governo mandatario della Società delle Nazioni, vietava gli sbarchi dei clandestini dalle navi che, se intercettate, venivano sequestrate; come in effetti avvenne alcune volte e, in particolare, nel gennaio del 1946 con la Enzo Sereni. La Gran Bretagna amministrava con polso di ferro la Palestina, terra di guerra civile tra arabi ed ebrei.

Ada, che parlava italiano ed ebraico, francese e inglese, tedesco e arabo, diventa un importante componente dell’organizzazione e, poi, nel 1947 la responsabile del settore italiano del Mossad. Ella organizza, tra mille difficoltà, con perizia e capacità politica, trentatré (secondo altre fonti trentotto) spedizioni dalle coste italiane, riuscendo a far arrivare in Palestina, dal 1945 al 1948, non meno di venticinque mila ebrei sopravvissuti ai campi di concentramento.

Un vero e proprio esodo, e una sfida politica, di cui però lo Stato italiano era, seppure a fasi alterne e per vari e differenti motivi, in parte al corrente. Ada era protagonista sia sulle navi, dove aiutava fattivamente gli imbarchi avventurosi e perigliosi, sia nelle stanze della politica e delle istituzioni.

Il 14 maggio del 1948, proprio nel medesimo giorno nel quale partiva “l’ultima nave di quella flotta senza bandiera che, per tre anni, aveva solcato le acque del Mediterraneo”3, è fondato lo Stato di Israele che “sarà aperto all’immigrazione ebrea e agli ebrei provenienti da tutti i Paesi della diaspora” (così la Dichiarazione di indipendenza del 15 maggio 1948). La storia di questa straordinaria impresa è narrata dalla stessa Ada, in modo asciutto e antiretorico, con uno stile che ricorda quello di Natalia Ginzburg nel citato suo libro-testimonianza: I clandestini del mare.

Ada muore a Gerusalemme il 24 novembre 1997. Due anni prima, sempre a Gerusalemme, il giorno in cui si celebra la festa dell’indipendenza israeliana, le era stato assegnato il Premio Israel per “il contributo particolare alla società e allo stato ebraico”.

I clandestini del mare, p. 107.  ^

I clandestini del mare, p. 70.  ^

I clandestini del mare, p. 233.  ^