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Abbé Pierre: da archivi Chiesa quei silenzi su “malato grave”

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Vescovi che temevano lo scandalo e l’Abbé Pierre “molto malato” che sfuggiva a ogni controllo: gli archivi della Chiesa rivelano come, alla fine degli anni Cinquanta, la gerarchia episcopale tacesse comportamenti ritenuti “problematici”, ma tenuti sotto silenzio. Si tratta di un fascicolo che ricercatori e giornalisti possono consultare presso la sede degli archivi della Chiesa cattolica, a Issy-les-Moulineaux, vicino a Parigi. Di fronte all’emozione suscitata dalle rivelazioni sulle violenze sessuali commesse dall’Abbé Pierre, la Conferenza dei vescovi di Francia ha ammesso l’accesso ai documenti a metà settembre, senza attendere la scadenza dei 75 anni dalla sua morte, nel 2007. I 216 documenti del dossier, lettere dattiloscritte e manoscritte, completano quanto affermato il 16 settembre dal presidente della Cef Eric de Moulins-Beaufort: “Almeno alcuni vescovi” erano a conoscenza “dal 1955 al 1957” della “grave comportamento” dell’Abbé Pierre “nei confronti delle donne”. Tuttavia, da nessuna parte in questi archivi è specificata la natura esatta degli atti. Le lettere parlano di “incidenti”, “miserie morali”, “atti riprovevoli”, “stati anomali”… Difficile capire se dietro queste espressioni si nascondano legami concordati, ma vietati dalla Chiesa, o violenza sessuale, come accusa una ventina di donne, alcune delle quali minorenni all’epoca dei fatti. Il documento più esplicito, una lettera del 13 novembre 1964 forse proveniente dal segretario generale dell’episcopato, riassume la vicenda parlando di un “gravemente malato di mente” soggetto a “perdita di ogni autocontrollo, soprattutto dopo libri di successo” e assicura che “le ragazze sono segnate per tutta la vita”.L’Abbé Pierre, il cui vero nome è Henri Grouès, ha agito “senza che fosse possibile coglierlo sul fatto”, aggiunge questo documento fotocopiato e quasi illeggibile.
Dopo le rivelazioni di quest’estate, la questione del silenzio delle istituzioni è stata centrale. Nel dossier compaiono i successivi direttori della segreteria episcopale: Jean-Marie Villot (1950-1960), Julien Gouet (1960-1966), così come diversi vescovi, in particolare quello di Grenoble, André-Jacques Fougerat, di cui l’Abate Pierre. Alcuni sono ben consapevoli della posta in gioco: “Non dobbiamo nasconderci che tutto questo un giorno o l’altro potrebbe venire a conoscenza e che l’opinione pubblica sarebbe allora molto sorpresa nel vedere che la gerarchia cattolica ha mantenuto la sua fiducia nell’abate Pierre”, scriveva Jean-Marie Villot al cardinale Pierre Gerlier, arcivescovo di Lione, nel gennaio 1958. Perché la paura dello scandalo è ricorrente, unita alla preoccupazione per la statura mediatica dell’Abbé Pierre, combattente della resistenza durante la guerra, eletto deputato della Meurthe-et-Moselle alla Liberazione, e coronato dalla sua azione a favore dei senzatetto durante l’inverno del 1954.
Il dossier rappresenta anche un uomo “le cui attività sfuggono completamente al controllo della gerarchia” (marzo 1958), che “tenta di sfuggire alla disciplina medica” (agosto 1958). Henri Grouès fu internato alla fine del 1957 in una clinica psichiatrica vicino a Ginevra (Svizzera) dove venne sottoposto a un “trattamento d’urto”. Preoccupato per la sua liberazione, il vicesegretario generale dell’episcopato valutava, se l’abate fosse “incurabile”, trovargli “una clinica o un asilo che lo ospitasse fino alla fine dei suoi giorni”; o se si riprenderà per indirizzarlo “verso un ministero di dedizione silenziosa, nel cuore di un Paese denutrito, in un ospedale nella foresta, in un villaggio di lebbrosi”. Il religioso lasciò definitivamente la clinica nel 1958. Nonostante le preoccupazioni interne sulla ripresa dell’attività, pianificò viaggi in Libano, India… Nel corso degli anni gli sono stati imposti diversi “limiti”: vigilanza da parte di un compagno (“socius”), divieto di confessare, di parlare in pubblico… (AGI)