AGI – Un relitto giacente ad una profondità di circa 70 metri di cui è ben evidenziato il carico, composto da anfore databili tra il II ed I sec. a.C., è stato individuato nel mare di Ustica dalla Sovrintendenza del Mare durante un’operazione di monitoraggio e rimessa in ordine dell’itinerario subacqueo.
Le immersioni sono state effettuate dal segnalatore e altofondalista Riccardo Cingillo. Durante le tre giornate di lavoro sono state effettuate ricerche strumentali tramite ecoscandaglio, ROV e Rebreather. Le indagini preliminari sono state condotte con il supporto tecnico-logistico della Guardia di Finanza. Per la Sopmare, oltre alla soprintendente Valeria Li Vigni, erano presenti i funzionari Selvaggio e Agneto, responsabili degli itinerari subacquei, l’archeologa Testa, il responsabile del nucleo subacqueo Vinciguerra.
A Ustica le ricerche proseguiranno con saggi, rilievi videofotografici, e analisi diagnostiche sui reperti recuperati. “Proseguire e potenziare le ricerche in mare ispirate dall’entusiasmo ancora vivido di Sebastiano Tusa – sottolinea l’assessore dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana, Alberto Samonà – non è solo un atto di rispettosa memoria verso un uomo che ha investito gran parte della propria vita a valorizzare la Sicilia e il mondo sommerso, ma è soprattutto un investimento in termini di capacità di generare valore, attraverso il potenziamento di un segmento dell’offerta culturale connessa al patrimonio storico-archeologico sottomarino, in linea con i principi dettati dalla Convenzione UNESCO sulla fruizione del patrimonio culturale”.
“Siamo ripartiti, da questa scoperta ci aspettiamo molto. Qui c’è il ‘cuore’ di Sebastiano”, ha detto Valeria Li Vigni, raccontando i dettagli dell’ultima scoperta. Esattamente un anno fa venne calato nel mare di Ustica un “cuore” di marmo per ricordare Sebastiano Tusa, archeologo di fama mondiale scomparso nel marzo di un anno nell’incidente aereo della Ethiopian Airlines, fondatore di quella Soprintendenza che la moglie dirige.
E, a distanza di un anno, quel mare, a nord di Punta Falconiera, ha restituito un relitto che promette molto all’archeologia. “Prenderemo un’anfora per esaminarla, per il relitto vedremo se sarà il caso di recuperarlo”, spiega Li Vigni, consapevole del principio stabilito in sede Unesco, e per l’affermazione del quale Tusa si battè, che le tracce archeologiche vanno lasciate lì dove si trovano e solo raramente è il caso di portarle a terra.
“L’assessore Samonà ci ha promesso un finanziamento, e potremo così andare avanti”, aggiunge Li Vigni, in vista di settembre, quando riprenderà il lavoro, centrale per la Soprintendenza e per l’archeologia tutta, nei luoghi della Battaglia delle Egadi, nel mare di Levanzo, che il 10 marzo del 241 a.C. pose fine alla prima guerra punica dopo aver sancito la sconfitta dai cartaginesi da parte dei romani.
Fu proprio Tusa a guidare le ricerche che nel corso degli anni hanno portato alla scoperta di elmi e rostri di quell’evento, destinato a cambiare la Storia del Mediterraneo. Le ricerche riprenderanno con l’equipaggio di Rpm Nautical Foundation”, non profit americana, con una sede a Malta, specializzata in ricerche culturali sottomarine.
Il trasporto delle anfore, invece, segnala un periodo di pace in quello che gli antichi indicavano come Mare Nostrum. Esse, ha scritto Tusa nel volume “Primo Mediterraneo” (Edizioni di storia e studi sociali), erano “uno degli elementi basilari per il trasporto di vari generi di consumo oltre al vino, quali l’olio, i frutti”. L’anfora “è per gli archeologi un elemento insostituibile , per giungere con facilità alla loro attribuzione culturale, etnica e politica, ma anche per conoscere e tracciare gli antichi sistemi e le rotte commerciali dell’antichità”.
Vedi: A Ustica è stato trovato un relitto con anfore del II-I sec a.C.
Fonte: cronaca agi