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A Milano non c’è stato un aumento di ricoveri per la variante inglese, dice la virologa

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Negli ospedali San Paolo e San Carlo di Milano “nelle ultime settimane non c’è stato un aumento di ricoveri, dovuto alla cosiddetta variante inglese del virus”, come accaduto altrove. “Da giorni e giorni abbiamo un’affluenza in pronto soccorso di poche persone. E non tutte sono da ricoverare. La situazione non è così drammatica”.

Ma c’è da chiarire una cosa, e cioè che il processo di ricerca delle varianti non può essere fatto di routine, ma solo in casi eccezionali. Lo spiega all’AGI La professoressa Antonella d’Arminio Monforte, Direttore delle Malattie Infettive ASST Santi Paolo e Carlo di Milano, tra i centri in prima linea nel contrasto alla pandemia, da quasi un anno ormai.

Il processo di ricerca delle varianti non si fa in automatico

“Il procedimento per individuare le varianti non è così veloce o automatico: implica il sequenziamento di tutto il genoma del virus, ci vuole tanto tempo e personale dedicato. E’ un processo lungo, si fa solo per casi fortemente sospetti, indicati dal ministero”. Certo si è diffusa la preoccupazione nel sapere che quella inglese, che in Lombardia rappresenta una percentuale del 30-35% (che potrebbe arrivare anche all’80%) sul numero totale dei contagi, è caratterizzata da maggiore trasmissibilità. Ma c’è da dire che oggi “Abbiamo un tasso di mortalità che si è quasi dimezzato rispetto a un anno fa, nelle persone ricoverate. Forse i pazienti arrivano prima, forse il virus è meno aggressivo e forse ci sono delle terapie migliori”. Una notizia che fa ben sperare, anche se la guardia non va abbassata.

“Da noi circa 200 ricoverati nei reparti Covid”

“I reparti Covid sono pieni al 100 per cento, ma questa è la norma da marzo. Anzi, adesso, per la prima volta dopo mesi, abbiamo anche qualche letto libero, uno o due”. Come ricorda la professoressa d’Arminio Monforte “Ne abbiamo avuti anche 8″ di reparti dedicati ai contagiati. “Adesso ce ne sono 4 al San Paolo e 3 al San Carlo”, che ospitano un totale di circa 200 pazienti. Sempre tanti sono, in tutto il Paese. Ecco perché lo ‘stop and go’ delle chiusure-aperture che ha caratterizzato quest’ultimo anno non è alle spalle, e sull’Italia pende di nuovo la spada di Damocle del lockdown totale.

E’ necessaria una nuova chiusura totale?

“È assodato che se si chiude tutto c’è una netta diminuzione della circolazione e della diffusione del virus. Ma a che prezzo? Non solo dal punto di vista sociale, economico, psicologico, ma anche da un punto di vista sanitario c’è un prezzo da pagare rispetto alle altre patologie. Ci sono tante persone che hanno bisogno di cure, persone con patologie gravi che non si avvicinavano al pronto soccorso per paura del contagio. Io sarei più per dei lockdown localizzati: c’è un piccolo cluster e si chiude la zona”. Proprio come accade in Lombardia dove 4 comuni sono finiti in zona rossa. “Il prezzo per un lockdown totale è davvero molto alto. Eh sì siamo tutti un po’ devastati dopo quest’anno, ma ci siamo”.

Fonte: cronaca agi


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