di Danilo Di Matteo
Se la Repubblica italiana nasce con il referendum del 2 giugno 1946, la nostra vicenda nazionale conosce una vera e propria cesura innovatrice con il referendum sul divorzio del 12 e 13 maggio 1974, che confermava la legge “Fortuna-Baslini” del 1970. Una rivincita, rispetto alle elezioni politiche del 18 aprile 1948, come la definì con acume Pietro Nenni. Altri esponenti della sinistra – dal grande Francesco De Martino a Enrico Berlinguer, inizialmente – faticarono di più a comprendere la posta in gioco. Non si trattava solo di un fenomeno di costume, bensì di una grande questione sociale.
Da una parte si schierarono i conservatori e i reazionari (“l’asse Fanfani-Almirante”, a dispetto della storica sensibilità del leader democristiano per “il sociale”), dall’altra i novatori, la modernità. Un evento, dunque, anche dalle forti valenze simboliche, come quasi sempre è per i quesiti referendari (la nostra, in effetti, è stata non solo la Repubblica dei partiti, ma anche quella dei referendum). De Martino, vera icona dell’unità della sinistra, forse influenzato, per paradossale che appaia, dalla conoscenza profonda del diritto romano e della sua storia, aveva erroneamente considerato il divorzio come “roba per borghesi”, estranea alle istanze e agli interessi del proletariato. Mentre Berlinguer, dopo le esitazioni iniziali legate alla linea togliattiana della “pace religiosa”, profuse un impegno straordinario e decisivo nella campagna referendaria, approdando in ogni angolo d’Italia.
Lungo quel solco, nei lustri successivi, si è andata rafforzando, quasi impercettibilmente, l’idea che ormai la linea di frattura tra destre e sinistre fosse caratterizzata principalmente dai dilemmi etici, in senso lato: dall’interruzione volontaria di gravidanza al “fine vita”, fino alle politiche volte a contenere e a governare la diffusione degli stupefacenti. Leo Solari (1019-2009), brillante allievo di Eugenio Colorni, liberalsocialista, amico, tra gli altri, di Nenni e di Marco Pannella, quasi teorizzava ciò: ormai le scelte e le opzioni decisive di politica economica e internazionale sono condizionate da mille e mille vincoli, per cui il terreno della contesa pubblica e politica è legato soprattutto a quei dilemmi, a loro volta colmi di implicazioni sociali ed economiche.
Ecco, forse, dopo la tragedia pandemica e con una guerra globale in atto (magari non sarà il terzo conflitto mondiale, ma, appunto, di guerra globale si tratta), occorrerebbe provare a superare quella visione e quella dicotomia – dilemmi etici versus scelte economiche e di politica internazionale – e ad agire sul groviglio in apparenza inestricabile delle vicende e dei drammi del nostro tempo, nelle loro varie e mutevoli dimensioni e nei loro multiformi aspetti.
Liberta’ Eguale