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Violenza donne: psicologi, modelli famiglia fanno la differenza

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“Nell’uomo che maltratta non scatta il senso del limite, del rispetto. Davanti a sé non ha un pungiball ma una persona che ha diritto a esprimere la propria opinione, a dissentire. E’ su questo che dobbiamo lavorare: potenziare la consapevolezza che di fronte a me ho un’altra persona e di lei non posso fare quello che voglio”. A dirlo, in vista della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, è Maria Antonietta Gulino, presidente dell’Ordine degli Psicologi della Toscana. “C’è un mondo di modelli familiari che possono fare la differenza: l’idea di coppia che ho ereditato, cosa significa il rispetto dentro una relazione, che idea di ‘maschio’ ho maturato. Nelle violenze c’è la tendenza patologica a non fermarsi, a non riuscire a dirsi: ‘no, non devo fare del male alla persona davanti a me’. Non si nasce violenti. C’è una storia, c’è un’infanzia, ci sono vissuti, anche maltrattamenti subìti. Ecco perché è fondamentale la prevenzione: prima interveniamo e prima corriamo ai ripari – sottolinea Gulino – quando, ad esempio, vediamo a scuola una ragazza aggredita da un compagno diventa essenziale intervenire a protezione, in classe, sottolineando che quello è un comportamento che fa male. La sensibilità della denuncia è cresciuta tra le donne, anche se resiste ancora l’idea che ‘tanto non lo rifarà’. L’idea della tolleranza a un comportamento violento oppure una sudditanza di tipo economico, domestico: ‘cosa sarà di me se mi ribello?’. E allora si sopporta, si tollera – ricorda la presidente degli Psicologi della Toscana – essere indifferenti o lasciar correre rispetto a comportamenti di cui siamo vittime toglie la possibilità di difendere sé stesse, la propria libertà e i propri figli. Bisogna chiedere aiuto e rivolgersi a persone fidate, a centri antiviolenza, a professionisti della salute psicologica e mentale”. E ancora: “Quale è il primo campanello d’allarme? Tutte quelle volte che si percepisce indifferenza verso le proprie emozioni: torno a casa dopo una dura giornata di lavoro, vorrei parlarne con mio marito ma lui non mi ascolta e banalizza. Come se il mondo dell’uomo avesse più valore di quello della donna – dice Gulino – da qui può partire un’escalation che può portare alle botte, alla violenza fino ad arrivare al femminicidio. Lavorare in prevenzione serve ad aiutare una donna a dire di ‘no’ ad un comportamento aggressivo, insegnando a suo figlio, a sua figlia che bisogna pretendere rispetto da chi ci sta vicino, soprattutto se quella persona dice di amarci. L’amore non fa male”. (AGI)