“Dobbiamo sperare e operare perché sia possibile un altro mondo! E parte di questa visione è anche una ridefinizione del ‘bene comune'”. Così monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, nel suo intervento all’incontro “Bene comune: teoria e pratica”, organizzato dalla stessa Pav.
“Le drammatiche disuguaglianze non sono frutto del caso – ha sottolineato Paglia -, ma il frutto amaro di un capitalismo esasperato che ha generato una cultura iperindividualista che sta minando in radice le spinte unitive che hanno portato al crollo di quel ‘noi’ che rende ragione della centralità del bene comune per una convivenza pacifica e una vita buona per tutti i popoli”. “Mai il mondo è stato così ricco, eppure mai ci sono stati tanti poveri e mai le disuguaglianze sono così dilatate sino ad aver superato il limite oltre il quale si apre uno squilibrio ingestibile”, ha precisato il presidente della Pav. “Se l’1% della popolazione mondiale possiede il 46% delle risorse disponibili, se il 10% ne possiede l’80% e il 50% – la metà della popolazione del mondo – non possieda nulla, come può reggere la convivenza dei popoli? Non è in pericolo la pace se 70 milioni di persone hanno nelle loro mani la stessa ricchezza che possiedono i restanti otto miliardi di persone? Il miliardo di persone che vive in condizioni di ‘povertà assoluta’ – e che si trova nei paesi economicamente più arretrati, dei quali circa una metà si trova in Asia meridionale, un terzo nell’Africa sub-sahariana e una quota di rilievo anche in America Latina) – prima o poi non farà sentire la propria disperazione?”, ha aggiunto. “Non vado oltre a snocciolare i numeri, avverto solo che dietro i numeri c’è il volto di donne, di uomini e di bambini sfruttati per vili interessi, calpestati dalle logiche perverse del potere e del denaro… Si tratta di un vasto popolo ammassato in condizioni di vita subumane; tutti vittime innocenti di situazioni che l’ordine politico mondiale non è in grado di regolare: sono ‘scarti’ che nessuno vuole”. Per monsignor Paglia “tra le cause di tali squilibri vi è la politica delle grandi potenze che spinge a praticare complesse strategie nelle quali si sovrappongono la competizione mercantilistica fra gli Stati, il regionalismo economico e il protezionismo settoriale. Negli stessi paesi ricchi, il processo di globalizzazione ha posto in crisi le strutture del Welfare state favorendo lo sviluppo di oligarchie elitarie e repressive”. “L’ossessione per l’efficienza economico-finanziaria avvantaggia i ceti dominanti e porta alla discriminazione dei cittadini non abbienti, in particolare dei migranti, trattati come ‘barbari invasori’. In questo quadro – ha proseguito -, il processo di globalizzazione aggrava ulteriormente gli squilibri sociali non risolti dal Welfare state. La competizione globale impone infatti la concorrenza soprattutto nei settori produttivi più deboli, a cominciare dalla forza-lavoro. Il lavoro dipendente è ormai scarso, precario, segmentato, poco retribuito. Facile che da questo scenario si passi a conseguenze violente”. (AGI)