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Un gene spiega la cooperazione fra le api

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Il comportamento complesso e cooperativo delle api mellifere, Apis mellifera, sembra essere geneticamente programmato in modo da poter essere trasmesso alle generazioni successive. Lo rivela uno studio dei ricercatori della Heinrich Heine University Düsseldorf, HHU, svolto in collaborazione con colleghi di Francoforte sul Meno, Oxford e Würzburg, riportato sulla rivista scientifica Science Advance. secondo i ricercatori, un gene, noto come gene doublesex, dsx, sembra essere la risposta al comportamento cooperativo delle api. Le interazioni comportamentali tra organismi sono fondamentali e spesso ereditarie. Ogni essere umano e ogni animale interagisce con altri individui nel suo gruppo sociale in un modo o nell’altro attraverso il suo comportamento. Nel regno animale, ciò presenta notevoli vantaggi nella ricerca collettiva di cibo, nella difesa dai predatori e nell’allevamento della prole. In alcuni animali, come le api mellifere, i legami comportamentali sociali sono così forti che i singoli membri formano una società unita che funziona collettivamente come un singolo “superorganismo”. Attraverso il loro comportamento individuale, migliaia di api operaie proteggono l’intera colonia, la nutrono e si prendono cura della covata. “Il repertorio comportamentale delle singole api e la loro funzione nella colonia non sono appresi, ma piuttosto ereditati”, ha detto Martin Beye, che dirige l’Institute of Evolutionary Genetics presso l’HHU ed è autore corrispondente dello studio. “Finora – ha continuato Beye – non si sapeva come tali comportamenti complessi fossero codificati geneticamente”. Insieme ai colleghi delle università di Francoforte sul Meno, Oxford e Würzburg, il gruppo di ricercatori dell’HHU, guidato da Beye e Vivien Sommer, prima autrice dello studio, ha ora scoperto il gene, noto come dx, è alla base del comportamento specifico delle api operaie. “Il gene programma se un’ape operaia deve svolgere un compito nella colonia e per quanto tempo”, ha affermato Sommer. “Ciò include compiti collettivi come prendersi cura delle larve o cercare cibo e scambi sociali sulle fonti di cibo, per esempio”, ha proseguito Sommer. I biologi hanno utilizzato le forbici genetiche CRISPR/Cas9 nelle loro indagini per modificare o disattivare il gene dsx in api selezionate. Poi, gli scienziati hanno allegato un codice QR alle api manipolate, quindi hanno monitorato il loro comportamento nell’alveare con telecamere. Le sequenze video risultanti sono state analizzate con il supporto dell’intelligenza artificiale per determinare i modelli comportamentali individuali delle api. “La nostra domanda centrale era se e come i modelli comportamentali ereditati cambiassero a seguito della modifica genetica”, ha spiegato Sommer. “Tali cambiamenti devono riflettersi nel sistema nervoso delle api operaie, dove il comportamento specifico è controllato”, ha aggiunto Sommer. I ricercatori hanno introdotto la proteina fluorescente verde, GFP, nella sequenza dsx, in modo che la GFP fosse prodotta insieme alla proteina dsx. I circuiti neuronali potevano quindi essere visualizzati tramite microscopia a fluorescenza, sia nelle api non modificate che in quelle con modifiche genetiche. “Siamo stati in grado di utilizzare questi strumenti per vedere esattamente quali percorsi neurali il gene dsx crea nel cervello e come questo gene a sua volta specifica i modelli comportamentali ereditari delle api”, ha evidenziato Jana Seiler, ricercatrice di dottorato e co-autrice dello studio. “I nostri risultati indicano un programma genetico fondamentale che determina i circuiti neuronali e il comportamento delle api operaie”, ha sottolineato Wolfgang Rössler, del Dipartimento di Fisiologia comportamentale e Sociobiologia, che ha guidato lo studio presso l’Università di Würzburg. Nella fase successiva, i ricercatori vogliono ora passare dal livello della singola ape al superorganismo della colonia di api. “Speriamo di trovare il collegamento tra la programmazione individuale e il comportamento coordinato di molti individui”, ha concluso Alina Sturm, ricercatrice di dottorato presso HHU e coautrice dello studio. (AGI)