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Giustizia: Palermo, sentenze in ritardo di oltre un anno

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Diciannove mesi per le “Spese pazze” dell’Assemblea regionale siciliana; oltre dieci per “Sorella Sanità”; quasi undici per il processo che vede imputato l’assessore comunale ai Lavori pubblici di Palermo, Salvatore Orlando, in questi giorni al centro della polemica politica siciliana. Sono solo tre dei tanti processi penali pendenti alla prima sezione della Corte d’appello di Palermo, in cui le motivazioni delle sentenze tardano a essere depositate: il collegio, in cui si sono avvicendati tanti giudici, trasferiti per scadenza dei dieci anni di permanenza nella stessa sezione o perché hanno ottenuto altri incarichi, ha un notevole arretrato, anche per processi in qualche modo “pesanti”. Lo è, ad esempio, quello contro “Totò” Orlando, imputato (quando era presidente del Consiglio comunale) di tentata concussione per avere cercato di indurre il componente di una commissione di una selezione interna al Comune, a favorire un candidato a lui vicino. Orlando, esponente di Italia viva, è nella giunta di Palermo: e al sindaco, Roberto Lagalla, è stata chiesta la sua testa da numerosi esponenti del centrodestra, dopo gli attacchi rivolti al presidente della Regione, il forzista Renato Schifani, dal deputato nazionale renziano Davide Faraone. Un problema di lealtà politica, sollevato dagli alleati e che Lagalla finora è riuscito a contenere, prendendo tempo e parlando di verifica entro l’anno.

Se Orlando avesse già avuto una sentenza in Cassazione, però, il caso si sarebbe potuto risolvere da sé: in caso di condanna (ha avuto un anno e sei mesi sia in primo che in secondo grado) avrebbe dovuto lasciare l’incarico e sarebbe stato un problema politico in meno. La sentenza finale però è molto di là da venire, proprio per i ritardi nel deposito delle motivazioni, che impediscono ai difensori di fare ricorso. Stessa situazione per le spese pazze, il processo ai deputati regionali accusati di avere usato i fondi a disposizione dei gruppi parlamentari per impieghi assolutamente personali, dalla sostituzione degli infissi dello studio all’acquisto di automobili: la decisione di secondo grado risale al 4 maggio dello scorso anno e tra gli imputati c’è l’ex sindaco di Catania, Salvo Pogliese. Dopo quasi un anno e mezzo non è stata depositata la motivazione: di conseguenza non è nemmeno all’orizzonte il processo in Cassazione, perché non si può fare il ricorso. Per Pogliese, in caso di condanna, potrebbe scattare la Severino e la decadenza dall’incarico di parlamentare, che ricopre attualmente in FdI. Ma intanto i termini di prescrizione corrono. Il primo dicembre 2023 sempre la prima sezione della Corte d’appello emise una sentenza nei confronti di burocrati e pezzi grossi della sanità siciliana (Sorella Sanità, sulla corruzione in maxiappalti per ospedali e aziende sanitarie e ospedaliere), tra cui l’ex paladino antimafia Antonio Candela: nemmeno in questo caso c’è la sentenza, dunque niente Cassazione. Ogni processo peraltro potrebbe avere delle code, se la Suprema Corte dovesse annullare con rinvio, ordinando nuovi giudizi di merito. Il codice fissa in 180 giorni al massimo (90 più 90) i termini per il deposito delle motivazioni, nei casi particolarmente complessi. Non sono termini perentori ma nemmeno semplici “consigli”: negli ultimi anni, a seguito di scarcerazioni e dichiarazioni di prescrizione, il Csm ha azionato numerosi procedimenti disciplinari nei confronti dei giudici ritardatari. (AGI)
PA1/PGI