di Giovanni Cominelli
Il recente voto al Parlamento europeo, nel quale le forze politiche italiane non hanno votato a favore della possibilità per gli Ucraini di colpire con armi appropriate le basi di partenza dei missili e droni russi, che martoriano quotidianamente le città ucraine, solleva due ordini di problemi: uno di politica e uno di morale.
Quello di politica è semplice a dirsi: se gli Ucraini possono rispondere ai missili russi solo quando esplodono sulla propria testa, è come sostenere che non si possono difendere. Si devono arrendere all’aggressione.
Alla fine il “pacifismo” approda a questa conclusione: che la pace si ottiene solo con la resa. Problema storico-politico e nazionale diventa anche l’identità del nostro Paese come soggetto geopolitico sulla scena del mondo.
Dal voto esce un Paese inaffidabile, disponibile al cambio delle alleanze, con una classe dirigente miope e vile, attenta solo all’utile elettorale immediato, priva di visione e di missione.
Vale per la maggioranza di governo, vale per l’opposizione. Il Paese naviga nei mari del mondo come una nave destinata a nessun porto. E poiché ignora il proprio porto, nessun vento le è favorevole, direbbe Seneca. Si tratta di un nazionalismo/sovranismo retorico e fasullo, che confonde l’autoisolamento con l’autonomia, la sovranità con il disimpegno irresponsabile da ogni vincolo internazionale. Una Nazione che non diventa Soggetto-Stato dentro le relazioni internazionali, non è seria. E se quei deputati europei rappresentano, come pare, il Paese, allora il futuro dell’Italia non è quello di un Paese che ha voglia di difendere la propria libertà e indipendenza.
L’alibi nucleare del pacifismo italico
È arcinota la giustificazione di simile atteggiamento: la paura di una risposta nucleare dei Russi a missili che colpiscano le loro basi di lancio. Dal 2022 Dmitrij Anatol’evič Medvedev, Vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, ha più volte minacciato il ricorso alla rappresaglia nucleare. Fornire agli Ucraini missili a più lungo raggio significa, secondo Putin, che la Nato entra in guerra con la Russia: di qui il passo alla Bomba è breve.
L’arma nucleare non è un’arma come le altre: è l’arma finale, perché provoca “la fine del mondo”, non ci sono più né vincitori né vinti. Il grido di Brenno deve essere aggiornato: “Guai ai vinti, guai a vincitori!”. La Bomba ha cambiato la natura della guerra. La Bomba segnerebbe la fine della storia.
Teng Hsiao-Ping dava “pacificamente” per scontato, in un incontro degli Anni ‘50, di cui riferisce Achille Occhetto nella sua autobiografia, che si potesse far ricorso all’arma nucleare contro gli imperialisti americani.
Per quanto le perdite cinesi avessero potuto essere enormi – la modica cifra di duecento milioni secondo l’allora giovane leader cinese – un bel po’ di loro sarebbe comunque sopravvissuto. Boutade o no che fosse, non è più stata ripetuta. Su questa caratteristica “tecnica” della Bomba è stata costruita la dottrina della deterrenza, che ha mantenuto la pace mondiale dal 1949 ad oggi, da quando anche i Sovietici e poi parecchi altri sono stati in grado di produrre bombe nucleari a migliaia.
Sembra una pazzia: la sopravvivenza delle civiltà è garantita dalla minaccia della distruzione reciproca (la Mutual Assured Destruction). Può non piacere alle “animulae vagulae blandulae” del pacifismo, ma dobbiamo alla MAD – che in inglese significa appunto “pazzo” – se i conflitti, che non hanno cessato di accendersi dalla guerra di Corea del 1950 ad oggi, non sono diventati mondial-nucleari.
Non c’è da stupirsi. Il principio della capacità di minaccia presiede da sempre al rapporto tra gli Stati, perché è la regola dei rapporti tra gli individui della specie animale “homo sapiens”. La dottrina del “peccato originale”, che i non credenti irridono e molti credenti dimenticano, descrive realisticamente questo lato della condizione umana e della storia. Sennò, perché sarebbe necessaria “l’economia della salvezza”? Machiavelli e Hobbes sono venuti molto dopo e ci hanno costruito sopra delle brillanti teorie politiche.
Così per il mondo pacifista la paura della Bomba funge da alibi per non assumersi responsabilità politiche e morali rispetto alla guerra di aggressione in corso, scatenata dall’imperialismo russo contro un Paese sovrano.
La vita e/o la libertà?
Le velleità imperialistiche di Putin hanno innescato un meccanismo micidiale, che sta facendo scivolare tutto il mondo, a poco a poco, verso un’economia di guerra. Per spezzare questa deriva occorre, oggi, fermare Putin e costringerlo a rientrare nei suoi confini. Che cosa ha spinto, allora, i parlamentari italiani a Strasburgo ad imbiancare i sepolcri della loro politica? Che cosa li ha portati all’appuntamento con la viltà? È solo la finta paura del nucleare russo?
Alle spalle della questione trattata nel Parlamento europeo sta una domanda fatale, alla quale gli Ucraini stanno rispondendo come Stato-nazione e come cittadini: vale la pena di morire nel 2024 per l’indipendenza dello Stato-nazione e per la propria libertà di cittadini? Il valore della vita è più potente del valore della libertà?
Centinaia di migliaia di Ucraini hanno sacrificato la vita per aver scelto la libertà. La libertà è l’essenza dell’essere umano, è il motore della Storia. E perciò la Resistenza alla schiavitù, all’oppressione, alla sottomissione è una scelta esistenziale ed etica primaria. La politica segue. O dovrebbe. Se non segue, come nel caso dei partiti italiani, significa che la fibra morale dei nostri partiti – e del Paese – è gravemente estenuata e compromessa. Fortunatamente per noi Italo-europei, costoro sono maggioranza in Italia, minoranza in Europa. Fortunatamente per gli Ucraini.