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Stefano Andreotti: tornano falsità su mio padre, offesa memoria

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“La tentazione di parlare con Rita Dalla Chiesa mi è venuta. Proprio sabato ho chiesto a una persona che la conosce se non fosse il caso di parlare di suo padre e di mio padre. Ma se non succede, non mi strappo i capelli”. Stefano Andreotti, terzo dei quattro figli dell’ex presidente del Consiglio e senatore a vita, al Corriere della Sera commenta così le allusioni alla responsabilità del padre per l’omicidio generale Carlo Alberto Dalla Chiesa fatte durante un’intervista televisiva alla figlia.
“In passato abbiamo provato, io e la mia famiglia, tanta rabbia – aggiunge – oggi prevale l’indifferenza. Gli attacchi sono qualcosa di periodico e ci abbiamo fatto una certa abitudine. Mi addolora un po’ che nonostante i risultati dei processi e le ricerche storiche, si venga rischiacciati sulla cronaca spicciola. Mi pare che la storia stia superando la demonizzazione di un’intera classe politica registrata negli ultimi anni del Novecento. Poi, però, ci troviamo di fronte a certe belle uscite di fronte alle quali si è indifesi”. Stefano Andreotti ricorda che “certe prese di posizione della famiglia Dalla Chiesa risalgono agli anni ’80, con mio padre ancora in vita. Sono portato a giustificare la l’amarezza di chi ha avuto dolori così terribili. Ma sono passati i decenni. ci sono stati processi che hanno reso giustizia a mio padre. Eppure si tende a darne un’immagine avulsa dalla verità storica. Tra l’altro, non fare il nome sottintendendolo mi pare, a dir poco, una presa in giro”. I rapporti tra i due “erano ottimi, di rispetto e stima. Fu mio padre a dire a Francesco Cossiga nel 1979 di non smantellare il nucleo creato dal generale” per sconfiggere le Br, “e le lettere tra lui e Dalla Chiesa lo confermano”. Alla famiglia Dalla Chiesa, conclude Stefano Andreotti, “umanamente non dico nulla, per rispetto. Ma se si fosse più obiettivi, si finirebbe di tirare mio padre per i capelli. Mio padre non avrebbe mai chiesto di ammazzare qualcuno. Chi lo dice non l’ha mai conosciuto. E’ un’offesa alla sua memoria. Nelle lettere da aprire post mortem giura davanti a Dio di non avere mai avuto a che fare con la mafia, con l’omicidio Pecorelli, con quello di Dalla Chiesa. Si cerca di diffamare mio padre e ci sarebbero gli estremi per reagire per via giudiziaria. Ma il suo insegnamento è stato quello di lasciar perdere. Noi lo rispetteremo”. (AGI)