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Airbnb, caro affitti e overtourism: tra problemi e qualche soluzione

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di Antonio Eugenello

Il turismo di massa, favorito dalle piattaforme, ha causato forti aumenti nei prezzi delle case e lo spopolamento dei quartieri storici di città come Venezia e Firenze. Potrebbe essere arrivato il momento di imporre serie limitazioni agli affitti brevi.

L’Italia e l’Europa

Il dibattito sul turismo di massa è negli ultimi anni arrivato anche in Italia. Se città come Firenze e Venezia soffrono da tempo di un overtourism costretto in spazi estremamente limitati, l’aumento dei flussi turistici nel post-pandemia ha colpito tutto il paese e peggiorato ulteriormente la situazione. Per la prima volta si fa avanti seriamente l’ipotesi di regolamentare il turismo e gli affitti brevi, per mezzi economici, come il ticket a Venezia, o normativi, come il divieto di affitti brevi nel centro, introdotto a Firenze e immediatamente respinto dal Tar. In un dibattito che coinvolge uno dei settori più importanti dell’economia italiana è fondamentale addentrarsi armati di dati e ascoltare cosa ci dice la ricerca.

Secondo i dati Eurostat relativi al 2023, l’Italia è stata per distacco il paese europeo con più visite prenotate da turisti stranieri attraverso piattaforme di “economia collaborativa” (in particolare Airbnb, booking.com, Expedia e TripAdvisor), cioè quelle piattaforme che permettono la condivisione di beni o servizi tra individui privati, gratis o a pagamento (peer-to-peer). Seguono la Spagna, dove hanno fatto molto discutere le recenti proteste contro i turisti a colpi di pistole ad acqua, e la Francia, dove la situazione è molto peggiorata negli ultimi mesi a Parigi, soprattutto in relazione alle Olimpiadi.
Se si considera la durata delle visite, misurata in numero totale di ore trascorse in una struttura prenotata su una piattaforma online, l’Italia è caratterizzata da una forte eterogeneità a livello regionale. Al primo posto si trova la Toscana, con quasi 23,5 milioni di ore, seguono la Lombardia, con poco più di 22,5 milioni di ore, e il Lazio con circa 22,1 milioni di ore. È netto il distacco con la quarta classificata, la Sicilia, a 17,1 milioni di ore, e il Veneto, al quinto posto con 16,1 milioni di ore.
Un podio simile si ripropone per gli affitti medi per regione, sia in valore assoluto che in relazione al reddito medio: se infatti la Val d’Aosta è prima di misura in entrambe le classifiche, ai posti immediatamente successivi troviamo ancora una volta, nell’ordine, Lombardia, Toscana e Lazio. Ovviamente questo non implica alcuna causazione tra affitti brevi e affitti a lungo termine, ma rileva un’importante correlazione a livello regionale che tende a ripetersi a livello provinciale e locale, ed è al centro del dibattito sulla regolamentazione degli affitti brevi.

Gli affitti brevi nel resto del mondo

Airbnb, startup nata a San Francisco nel 2007, è il simbolo di un nuovo stile di viaggio a basso costo che ha permesso a più di un miliardo e mezzo di ospiti di visitare il mondo senza dover passare per un albergo, e può contare oggi più di cinque milioni di host e 7,7 milioni di appartamenti, camere e strutture.

Le reazioni delle autorità locali non hanno tardato ad arrivare: a San Francisco, per esempio, è possibile dare in affitto una camera solo se il locatario vive più di 275 giorni all’anno nell’appartamento, previo l’ottenimento di due licenze. A New York le regole sono ancora più stringenti, si può affittare una camera per meno di trenta giorni unicamente se il locatario vive nell’appartamento per la durata dell’affitto, e per non più di due ospiti alla volta.

In Europa la normativa è più eterogenea. Per esempio, a Parigi basta ottenere una licenza e riportarne il codice nella descrizione dell’immobile, mentre a Londra si può affittare fino a 90 giorni all’anno senza ulteriori limitazioni. A Berlino, invece, dal 2014 al 2018 era necessaria una licenza conferita dal senato della città per poter locare per meno di 60 giorni; dal 2018 in poi, sempre previo ottenimento di una licenza, è diventato possibile per i residenti affittare la prima casa senza limiti e la seconda fino a 90 giorni all’anno. A Barcellona, il sindaco ha annunciato la misura più drastica applicata finora: il comune non rinnoverà alcuna licenza per affitti turistici, vista la breve durata delle licenze già emesse, questo comporterà l’eliminazione del fenomeno entro il 2029.

La maggior parte degli studi condotti sul tema sembra essere concorde su un risultato: una maggiore offerta di camere o appartamenti in affitto su Airbnb diminuisce l’offerta sul mercato immobiliare e aumenta gli affitti e i prezzi degli immobili nei quartieri più esposti. Quello che sembra invece difficile da stabilire è esattamente in che misura questo avvenga, e se tale effetto sia sufficiente a giustificare la rimozione della piattaforma, visti i benefici a locatari, locatori e imprese locali.

Secondo uno studio su Barcellona, Airbnb ha causato nei quartieri più turistici un aumento degli affitti del 7 per cento e dei prezzi degli immobili del 17 per cento, mentre le stime sul resto della città sono molto più modeste, all’1,9 e 4,6 per cento rispettivamente. Gli effetti di Airbnb sui prezzi degli immobili a Los Angeles sono stati simili, con valori poco significativi per l’intera città (1,21 per cento), ma estremamente rilevanti per i quartieri più turistici. L’aumento causato dalla diffusione di Airbnb sul prezzo delle case entro 5 chilometri dalla Walk of Fame è stimato al 14,7 per cento.

Uno studio più recente condotto su Berlino, distingue tra gli Airbnb commerciali, vale a dire quelli disponibili per più di 180 giorni all’anno o che generano reddito annuale maggiore dell’affitto medio della zona, e non. Nella capitale tedesca, l’effetto dell’apertura di un Airbnb (commerciale o meno) causa – in un raggio di 250 metri – un aumento degli affitti dell’8 per cento al metro quadro. L’apertura di un Airbnb commerciale causa invece un aumento negli affitti che va dal 13 al 24 per cento.

L’effetto positivo più immediato è quello sperimentato dai turisti, che risparmiano in media 4,3 milioni di euro per notte, di cui 1,8 milioni risultano come perdite per gli alberghi, ma i guadagni sono anche occupazionali, secondo uno studio condotto a Madrid, per ogni 14 camere aggiunte su Airbnb in un dato quartiere vengono creati 11 nuovi posti di lavoro nel settore turistico.

Possibili soluzioni

Non esistono soluzioni facili, i guadagni economici e occupazionali del turismo di massa ne rendono difficile una limitazione senza gravi ricadute sulle economie locali. Esistono però forme intermedie di regolamentazione che possono rendere la situazione sostenibile senza eliminare un mercato altrimenti fiorente. Il governo ha già mosso i primi passi in questa direzione, creando il codice identificativo nazionale, operativo in forma sperimentale in Puglia e presto obbligatorio in tutto il paese. Ma la semplice identificazione e regolarizzazione, pur essenziale, non basta. Un buon compromesso potrebbe essere quello di vietare l’affitto a breve termine di case nei centri storici per più di 90 giorni all’anno, almeno nelle città più esposte, facendo eccezione per immobili in cui anche il proprietario viva per la durata della locazione e per non più di due ospiti alla volta; questo limiterebbe gli Airbnb “commerciali” e i loro effetti sugli affitti e sui prezzi, senza pregiudicarne gli effetti positivi nei quartieri meno centrali o meno sovraffollati.

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