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L’Europa del Sud e la sfida demografica globale

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di Amedeo Lepore

In un articolo dal titolo “Invecchiare insieme”, pubblicato di recente dall’Economist, si valutano i motivi per i quali gli abitanti dei territori meridionali dell’Europa saranno presto tra i più longevi al mondo. La varietà della dieta e l’abitudine al movimento, ma anche la qualità della progettazione urbana e dei comportamenti sociali sono le caratteristiche più significative di un nuovo modello di vita sperimentato in questa parte del continente.

Uno studio dell’Institute for Health Metrics and Evaluation dell’Università di Washington ha tratteggiato gli scenari del carico di malattie in 204 Paesi tra il 2022 e il 2050, effettuando proiezioni sulla durata della vita in questo arco di tempo. La sorpresa è data dalla presenza nei venti principali “Paesi per vecchi” – Countries for Old Men, parafrasando il romanzo di Cormac McCarthy – non solo di aree più ricche (Svizzera, Singapore, Giappone e Corea del Sud), ma anche di un gruppo di territori meno opulenti di altri, composto da Spagna, Italia, Francia e Portogallo, con l’aggiunta di piccoli Stati quali San Marino, Malta e Andorra. Da indagini di questo tipo emerge che, chiaramente, salute e longevità sono connesse al PIL pro capite.

Ma le cause specifiche di maggiore benessere dell’Europa del Sud vanno ricercate in altre direzioni, superando il legame esclusivo tra ricchezza e salute. C’è chi sostiene che queste popolazioni oggi non si attengono alla “dieta mediterranea” e che, quindi, questa forma di alimentazione non può essere indicativa di loro migliori condizioni fisiche.

Tuttavia, altri come Dan Buettner del National Geographic, uno degli ideatori delle “zone blu” – aree geografiche del mondo in cui la speranza di vita è considerevolmente più elevata rispetto alla media globale –, affermano che le abitudini in grado di forgiare persone di età sempre più avanzata risalgono a mezzo secolo fa, quando le popolazioni meridionali si nutrivano di pietanze contadine o seguivano una dieta basata su “cibi da carestia”. Blue zones italiane sono il Cilento in Campania e la provincia di Nuoro in Sardegna, dove si concentrano un’ampia schiera di centenari che conducono uno stile di vita peculiare dell’area mediterranea.

Da queste zone si è partito per delineare un paradigma socio-economico inedito, in qualche modo anticipatore della bioeconomia circolare. Merito della felice intuizione del sindaco di Pollica Angelo Vassallo, che, riprendendo l’insegnamento di Ancel Keys, riuscì a promuovere l’inserimento della dieta mediterranea tra i beni tutelati all’interno del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità.

Con l’alimentazione, il movimento è un altro fattore di allungamento della vita, che risulta particolarmente rilevante in Spagna e, in genere, nei Paesi euromediterranei, in virtù dell’elevato numero di passeggiate e percorsi pedonali compiuti in questi territori.

Varie ricerche, inoltre, mostrano l’importanza fondamentale dei rapporti sociali, oltre che dei legami di amicizia e familiari, per il benessere fisico e psicologico. Anche questo è un aspetto peculiare dell’esistenza nei Paesi dell’Europa meridionale. La conformazione dei nuclei urbani del Sud, poi, con piazze e luoghi di ritrovo adatti per riunirsi, assistere a spettacoli, discutere, bere e mangiare insieme, rappresenta un ulteriore vantaggio in termini di godibilità e distensione della vita.

A queste indicazioni, tuttavia, vanno aggiunte riflessioni di natura più strettamente demografica, che possono far cambiare l’angolazione da cui si guarda a questi fenomeni. Nei prossimi decenni si verificherà una consistente inversione di tendenza nella crescita della popolazione mondiale. L’Europa, che a inizio Novecento registrava il 24,7% della popolazione mondiale, scenderà al 7,2% nel 2050 e al 5,7% entro la fine del secolo. L’Africa, al contrario, passerà dall’8,1% della popolazione mondiale al 37,9%.

Peraltro, secondo lo storico Niall Ferguson: “Considerando che quando Cristoforo Colombo sbarcò nel Nuovo Mondo esistevano appena 500 milioni di esseri umani, la proliferazione della specie homo sapiens nell’era moderna è stata un’impresa sorprendente”. La popolazione mondiale ha superato attualmente gli 8 miliardi di persone e a fine secolo potrebbe raggiungere una punta di ben oltre 10 miliardi.

Eppure, questo picco sarà molto probabilmente l’ultimo, fugando il timore di un disastro malthusiano venturo, ovvero di un eccesso di popolazione del tutto insostenibile per la terra. Infatti, dagli anni Settanta del secolo scorso, si è avviato un declino progressivo del tasso di fertilità totale, che sta diminuendo di Paese in Paese al di sotto della soglia (2,1 nascite per donna) di mantenimento dei livelli demografici esistenti. Non è solo la “vecchia” Europa a patire questo fenomeno, ma anche gli Stati Uniti, la Cina, molte altre aree asiatiche e mediorientali: il nostro pianeta, esclusa l’Africa, in particolare quella sub-sahariana, è già in contrazione.

In Europa, i Paesi con maggiore popolazione, eccetto il Regno Unito, perderanno una quota consistente di residenti. Tra questi, l’Italia subirà un maggiore calo di abitanti. Del resto, più della metà dell’aumento previsto per la popolazione globale fino alla metà di questo secolo sarà concentrato in otto Paesi (Congo, Egitto, Etiopia, Filippine, India, Nigeria, Pakistan e Tanzania). Il tasso di fertilità totale si abbasserà da 2,3 nel 2021 a 1,8 nel 2100 e dal 2064 si prevede una discesa inesorabile. Ferguson, sostenendo che il crollo demografico mondiale non è più fantascienza, conviene con l’idea degli esperti secondo cui la popolazione umana non si ridurrà gradualmente, ma quasi con la stessa rapidità della sua crescita passata.

Il problema del futuro, quindi, sarà come contrastare le ripercussioni di una decrescita demografica sullo sviluppo economico e sulla vitalità sociale. D’altro canto, se la longevità va considerata un’opportunità, serve anche un sistema di welfare solido e aggiornato. Per la prima volta nella storia, nel 2018, gli over 65 hanno superato globalmente i bambini sotto i 5 anni. Inoltre, nel 2019, l’aspettativa mondiale di vita alla nascita ha toccato i 73 anni.

In questo quadro, occorre offrire servizi sociali migliori per le famiglie e l’immigrazione qualificata, pena un andamento negativo irreversibile della natalità, per le persone anziane, in termini di qualità della vita, cura, assistenza e impiego delle tecnologie digitali, e per i giovani, in termini di promozione dell’ingresso nel mondo del lavoro e di accesso all’abitazione.

Queste scelte da compiere, soprattutto per l’Italia, possono inserirsi nella prospettiva di fondo del rapporto con i Paesi meno sviluppati e con l’immensa frontiera dell’Africa attraverso un Piano Mattei sempre più organico e integrato nella nuova politica europea del Global Gateway.