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Di Paolo Valentino

Il ritardo digitale Il Paese è in grave ritardo sull’economia digitale: mancano investimenti strategici
Quanta differenza fanno due mesi. In giugno, alla vigilia degli Europei di calcio, il tema centrale del dibattito in Germania e in Europa era se la manifestazione avrebbe portato successi agonistici e organizzativi, in grado di restituire ottimismo al Paese e ridare slancio alla sua economia claudicante. Siamo ai primi d’agosto ed è andata diversamente.
La Mannschaft, pur giocando bene, è uscita ai quarti. Il caos delle ferrovie tedesche ha lasciato una macchia indelebile nella memoria di chiunque — giornalisti, spettatori e perfino calciatori — e ha avuto a che fare con il torneo. Ma soprattutto, gli indici economici del secondo quarto e quelli di luglio dicono che la prima economia d’europa è di nuovo in stallo, anzi si restringe mentre il mondo degli affacupati, ri è di cattivo umore. E per restare allo sport, suona quasi metafora di questa condizione il modesto (relativamente ai loro standard abituali) bottino di vittorie degli atleti tedeschi alle Olimpiadi di Parigi, dove la Germania è attualmente relegata al decimo posto del medagliere.
Economia contratta
Tant’è. Nel secondo trimestre di quest’anno l’economia tedesca è tornata a contrarsi: meno 0,1% rispetto allo stesso periodo del 2023. E anche se i dati di giugno si basano solo su proiezioni e le prossime settimane potrebbero riservare qualche sorpresa, è evidente che sia sfumato l’ottimismo con cui la Germania aveva iniziato l’anno, quando nel primo quarto il Pil era cresciuto dello 0,2%. A confermarlo sono i dati dell’ifo, l’indice che misura la fiducia degli imprenditori e le loro aspettative a sei mesi, che in luglio è sceso all’87% dall’88,6% di giugno, e dell’aumento della disoccupazione, che il mese scorso ha visto oltre 82 mila persone perdere il lavoro, secondo dato peggiore degli ultimi 20 anni.
La Germania ha attualmente 2 milioni e 800 mila disocpari al 6% della popolazione attiva. In generale, le dimensioni della sua economia sono più piccole di due anni fa. La domanda non è tanto se la Germania, come fu il caso alla fine degli Anni Novanta, sia nuovamente il «grande malato d’europa». Il punto vero è che in assenza di importanti aggiustamenti strutturali, ma bisognerebbe dire anche di mentalità, il Paese è destinato a oscillare tra speranze e delusioni, piccoli segnali di ripresa e improvviste cadute, lungo un percorso di crescita nella migliore delle ipotesi molto debole. Nulla di quanto avrebbe bisogno l’europa che, pur nelle attuali nebbie, a Berlino continua a guardare come locomotiva economica e faro politico.
I cinque fattori negativi
La Germania subisce infatti l’impatto di cinque fattori negativi. La contrazione della sua forza-lavoro, cioè del numero delle persone di età compresa tra i 15 e i 64 anni. L’infima percentuale di investimenti pubblici rispetto al Pil tra il 2018 e il 2022: secondo dati Ocse-imf, fra i sedici Paesi a più alto reddito, la Repubblica federale è penultima con il 2,5%. Solo la Spagna ha fatto peggio, con il 2,4, ma neppure l’italia sta messa bene, terz’ultima con il 2,6%. Terzo fattore, il reddito pro-capite tedesco rispetto a quello americano è sceso dall’89% del 2017 all’80% del 2023. Quarto, la Germania è ancora in grave ritardo sull’economia digitale, dove negli anni di Angela Merkel non ci sono mai stati investimenti strategici.
Infine, la crescente frammentazione geoeconomica del mondo, segnata da politiche protezioniste dei vari blocchi, ha conseguenze più gravi per un’economia tutta orientata a esportare e quindi dipendente dal commercio mondiale come quella tedesca. Di più, con l’economia americana che si raffredda e il rallentamento di quella cinese, ci sono poche o punte prospettive per una forte ripartenza della Germania trainata dall’export.
Scholz «senza qualità»
Più grave è che a far da catalizzatore sia l’instabilità, di cui ormai da mesi è preda la scena politica berlinese, dove il governo guidato da Olaf Scholz, cancelliere senza qualità, è paralizzato dalle risse interne alla maggioranza del semaforo, formata da socialdemocratici, verdi e liberali.
Ieri su queste pagine, Irene Soave ha raccontato la storia della lettera del ministro liberale dei Trasporti Volker Wissing a Ursula von der Leyen, dove si chiede di modificare le norme sui limiti alle emissioni diesel, che rischiano di mettere fuori servizio in Germania 8 milioni di veicoli. Non è però affatto chiaro se Wissing parli a nome dell’intero governo, i suoi alleati verdi avendo posizioni opposte sul tema della transizione ecologica. Non sarebbe la prima volta a Bruxelles, dove va di moda la battuta che, se parli con tre ministri tedeschi, sembra di parlare con i ministri di tre Paesi differenti.
Il freno di bilancio
Sul fondo, a lacerare la coalizione berlinese è il tema del bilancio, con dentro la madre di tutte le questioni: cioè, il mantenimento o meno dello Schuldenbremse, il freno di bilancio che pone un limite all’indebitamento annuale, considerato anacronistico e dannoso da tutti gli economisti e che ormai viene difeso strenuamente solo dai liberali, per i quali è quasi una questione di identità e sopravvivenza. In giugno era sembrato che ci fosse un accordo sulla manovra, senza toccare il meccanismo. Ma ormai a Berlino, gli accordi valgono il tempo di un ciclo di notizie, cioè poche settimane se va bene. Dopo la pausa estiva, anche alla luce di cosa accadrà in settembre, nelle elezioni regionali di Turingia, Sassonia e Brandeburgo, il tema del bilancio esploderà di nuovo. E questa volta potrebbe essere contundente.

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