di Marco Mayer
È sottotraccia, ma l’elemento più divisivo del G7 è il dossier sulla Cina.
Gli Stati Uniti puntano a coinvolgere i partner europei (recalcitranti) su due obbiettivi: bloccare le aziende e le banche cinesi che operano a supporto dell’invasione militare russa in Ucraina; evitare che le autoeletriche cinesi invadano i mercati dei Paesi ricchi così come negli anni scorsi è accaduto con la vasta penetrazione delle aziende del Dragone nel comparto digitale (per non parlare di quelle russe nell’energia).
La Germania, la Francia (l’Italia è più defilata) hanno, viceversa, un atteggiamento meno assertivo verso Pechino. Sperano (e forse si illudono) che la Cina compia consistenti investimenti nei loro Paesi creando nuovi posti di lavoro proprio nel settore automobilistico. Rispetto al 100% deciso da Washington, in Europa i dazi sulle auto elettriche saranno ritoccati ma in modo meno incisivo.
Ma al di là dell’industria automobilistica, Berlino e Parigi sono interessati a continuare l’intensa cooperazione bilaterale con Pechino in alcuni rilevanti settori strategici: telecomunicazioni e universo digitale, cavi sottomarini, reti energetiche e fusione nucleare, solo per citare i settori più importanti.
La Cina negli ultimi due anni si è notevolmente avvantaggiata delle divisioni interne al G7 non solo sul piano economico, ma anche politico e diplomatico: ha potuto continuare, anzi potenziare, la partnership strategica con la Russia.
Per misurare il successo reale del G7 a Presidenza Italiana occorrerà pertanto valutare un fattore preciso: si ridurranno le distanze tra Washington, Berlino e Parigi o la Cina potrà continuare indisturbata la politica dei due forni?
I bombardamenti russi che in questi giorni stanno martoriando l’Ucraina e la massiccia offensiva lanciata da Hezbollah dovrebbero spingere i membri del G7 a remare nella stessa direzione lanciando un severo monito a Pechino che sinora non ha mosso un dito per moderare l’aggressività di Putin e dell’Iran.
A questo proposito non si deve dimenticare che negli ultimi mesi il Ministero degli Esteri cinese ha ospitato senza problemi le delegazioni di Hamas in visita ufficiale a Pechino.
L’auspicio è che il G7 ritrovi armonia e unità di intenti; se viceversa Parigi e Berlino resteranno ancorate a miopi scelte di corto respiro come vorrebbero Stellantis, Volkswagen, gli altri gruppi industriali e le tante lobby filocinesi, il vertice in Puglia non avrà avuto successo.
Non si può chiedere troppo a Giorgia Meloni, ma la speranza è che ottenga qualche risultato sulla politica commerciale verso la Cina riducendo le distanze che oggi dividono Washington, Berlino e Parigi. La vera partita va ben oltre l’importazione di automobili elettriche o di altri prodotti.
L’obiettivo politico essenziale è quello di trovare nel G7 la compattezza indispensabile per esercitare su Pechino la massima pressione anche sul piano economico perché finalmente si assuma le sue responsabilità sull’Ucraina.
Con un G7 veramente unito e determinato il costo di appoggiare le politiche di Putin potrebbe diventare insostenibile per l’economia cinese che già (come ben sa la leadership di Pechino) sta attraversando un momento di grande difficoltà e che non si è ancora ripreso dalla traumatica crisi del Covid.