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L’impatto dell’intelligenza artificiale sul mercato del lavoro

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di Marco Leonardi

Quest’anno la relazione annuale della Banca d’Italia, oltre all’attenzione riservata a inflazione e temi europei, ha dedicato un focus sugli effetti dell’AI sul mercato del lavoro. Segno che il tema inizia a diventare importante non solo per il lontano futuro ma anche per il presente.

Le posizioni degli economisti sono varie, il festival dell’economia di Torino gli ha dedicato l’appuntamento annuale. Innanzitutto bisogna distinguere tra gli effetti dell’AI sulla crescita e la produttività e gli effetti sulla diseguaglianza. Gli effetti sulla crescita dipendono dalla valutazione di due numeri difficilmente valutabili: quante sono le occupazioni umane sostituibili con AI e quanti risparmi sui costi effettivamente si ottengono. Philippe Aghion, uno dei padri della teoria della crescita schumpeteriana della distruzione creatrice, sostiene che AI avrà un grosso effetto sulla crescita (circa 7% in dieci anni o 0,6% all’anno) e che l’unico ostacolo è il potere monopolistico dei pochi sviluppatori dell’AI che vorranno bloccare ulteriori concorrenti e così facendo impediranno ulteriori sviluppi della tecnologia. Il suo punto fondamentale è che AI, diversamente dalle tecnologie precedenti, non solo migliora la produttività del lavoro umano ma migliora anche la capacità stessa di produrre nuove idee.

C’è invece chi sostiene che gli effetti sulla crescita saranno piccoli. Da più di 20 anni Daron Acemoglu si occupa di “directed technical change” ovvero degli incentivi (di prezzo o di dimensione dei nuovi mercati) che muovono le nuove scoperte tecnologiche. Il punto è che la “direzione” delle nuove scoperte tecnologiche non è casuale ma è condizionata dalle istituzioni (governi, imprese e sindacati) e dalla cultura prevalente impersonata da politici, imprenditori, intellettuali. La direzione può essere di due tipi: sostitutiva della forza lavoro umana o complementare ad essa (cioè una innovazione che aiuta gli uomini a essere più produttivi sul lavoro senza sostituirli). Acemoglu critica i numeri di Aghion e stima effetti 10 volte inferiori sulla crescita: per lui la direzione di AI è tendenzialmente sostitutiva del lavoro umano, non produce nuove idee originali, e non avrà grandi effetti sulla crescita. L’unica cosa buona è che rispetto all’automazione robotica gli effetti di AI sono spalmati su una platea più ampia, non solo colletti blu ma anche colletti bianchi, quindi gli effetti sulla diseguaglianza saranno tendenzialmente inferiori.

Tutti però sono d’accordo che un effetto sulla diseguaglianza ci sarà. Da 10 anni e più si è sviluppata una letteratura sulla sostituzione dei lavoratori ad opera della tecnologia e sulla conseguente polarizzazione del lavoro e dei salari. Alcune occupazioni “routinarie” e ripetitive vengono sostituite ma tendenzialmente il lavoro non scompare del tutto, sono i salari a soffrirne di più: vengono favoriti i lavori manuali o quelli di concetto che sono difficilmente sostituibili. Questi studi si basano sull’analisi delle mansioni proprie di ogni occupazione, in parole semplici, i vecchi mansionari. Così si può calcolare quante mansioni siano sostituibili dalle tecnologie, è stato fatto con i computer più di 10 anni fa e oggi si fa con AI. Il problema è che lo stesso tipo di esercizio fatto dall’accademia, Oecd, Imf, le grandi società di consulenza, dà risultati molto diversi: c’è chi dice che molti lavori verranno sostituiti e chi invece che pochi verranno sostituiti. L’incertezza delle stime deriva dal fatto che non si parla solo di sostituzione integrale ma del grado in cui potrai venir sostituito o invece aiutato nelle tue mansioni.

Una visione interessante è quella di David Autor, quello che per primo inventò la metodologia che più di 10 anni fa iniziò ad utilizzare i mansionari per guardare alla sostituibilità dei lavori. Autor sostiene che AI è anche una grande opportunità per la classe media che potrà creare nuove occupazioni. I professionisti, avvocati, ingegneri, professori non verranno sostituiti ma verranno affiancati da professionisti nell’uso di AI per i compiti più standardizzati. Non rinunceremo mai all’avvocato per difenderci in tribunale o all’ingegnere e architetto per costruirci una casa, ma per una semplice lettera o un progetto base potremo rivolgerci a nuovi professionisti che avranno imparato ad usare AI per prodotti standard molto migliori di quelli che si riescono a fare adesso. AI già oggi aiuta a scrivere rapporti molto più accurati e semplifica i controlli sui programmi di software.

Da questo punto di vista l’Italia, che ha una larghissima fetta di lavoro autonomo di professionisti “creativi”, può essere avvantaggiata. Dall’altra parte, sottolinea Banca d’Italia, almeno gli intermediari finanziari hanno già iniziato a investire massicciamente in AI, nella valutazione del merito di credito, nelle scelte di investimento, nel supporto ai clienti. Molte volte AI aiuta i professionisti a prendere decisioni più informate.