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EUROPEE: Le possibili conseguenze sui rapporti tra Ue e Usa.

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Quali sono le attese oltreoceano di un istituto indipendente e poi dei due schieramenti in campo.
Per il Brookings institution, innanzitutto, la Ue e i suoi singoli Stati membri sono “i partner più importanti degli Usa nella difesa dell’ordine internazionale” basato su democrazia liberale, stato di diritto, forum multilaterali. “Soprattutto in questo periodo di crescenti tensioni geopolitiche, rinnovata competizione tra grandi potenze e minacce autoritarie (interne ed esterne) contro la democrazia, è di valore strategico per gli Stati Uniti avere partner che la pensano allo stesso modo nell’Unione Europea”.
Stati Uniti e Ue sono profondamente interconnessi anche nel campo della difesa e della sicurezza: 23 dei 27 stati membri dell’UE sono alleati degli Stati Uniti nella Nato. E la crisi ucraina ha mostrato fronte compatto sia come Unione che come singoli Stati utile anche “per la posizione di sicurezza e difesa degli Stati Uniti”. Il Brookings mette in guardia dall’influenza russa nei partiti di estrema destra e nota che “von der Leyen ha annunciato l’istituzione di un commissario alla difesa dell’UE per rafforzare e coordinare la capacità industriale della difesa europea”. Il rafforzamento dell’Unione con una difesa comune “completerebbe – e non sostituirebbe – la NATO”.
Infine essendo il mercato unico e l’area di libero scambio più grandi del mondo, l’Ue è anche il partner commerciale e di investimenti più importante degli Stati Uniti. Il potere economico dell’UE la rende anche un “attore influente” nella strategia degli Stati Uniti nei confronti della Cina. E Brookings mette in guardia dai “legami più stretti di quelli consentiti dalla politica americana in settori quali commercio, investimenti e clima” con Pechino. Infine, l’Ue, unione di democrazie liberali, è un partner fondamentale per lo sviluppo di strutture di governance globale per tecnologia, IA, energia e risorse naturali, cambiamento climatico. Bisogna essere in due per ballare il tango, recita un adagio inglese. E se le elezioni europee sono ‘osservate speciali’ negli Stati Uniti, è anche vero che molto nei futuri rapporti tra Washington e Bruxelles dipenderà anche dall’esito delle elezioni americane di novembre. Negli ultimi anni il cruccio di Henry Kissinger su quale sia il numero di telefono dell’Europa ha avuto qualche risposta, la collaborazione transatlantica è aumentata, anche se restano le diffidenze statunitensi verso l’Unione e una percezione che confonde i confini tra alleati Ue e alleati Nato.
In attesa del voto del nostro continente, molti osservatori statunitensi stanno già valutando su quali equilibri inciderà il risultato che porterà a una nuova governance dell’Unione europea. Tre sono le grandi direttrici indicate dal Brookings institution, uno dei più antichi think tank americani di tendenza liberale, su cui verranno valutati i dati di domenica: la difesa e la sicurezza dopo la crisi ucraina e mediorientale, con le incognite di un’eventuale difesa comune europea che integri la Nato, il commercio transatlantico, con l’incognita dei rapporti europei con la Cina, il quadro democratico e di stato di diritto con l’incognita del ruolo delle autocrazie.
E se i rapporti Usa-Ue durante l’amministrazione Biden sono già consolidati (e in chiaroscuro) è interessante vedere come la pensano i repubblicani. Per i sostenitori di Trump l’Europa è uno degli attori in campo, non necessariamente il più critico, di certo il più utile economicamente. Ma l’attenzione, quasi l’allarme, del Gop si concentra soprattutto su alcuni singoli Stati, con un focus in particolare sulla Gran Bretagna post Brexit e sui Paesi ex socialisti. Mentre una attenzione speciale bipartisan è concentrata sul risultato dei partiti di destra. Fin qui l’enunciazione dei temi, visti dal fronte liberale. Guardando invece le politiche concrete, salta agli occhi che le visioni di Biden e Trump sono opposte nella cornice, più multilaterale quella del presidente, più bilaterale e ispirata dal ‘divide et impera’ quella del competitor. Ma nella sostanza spesso il trait d’union è lo stesso: America first. E quando entrano in gioco interessi nazionali, Washington, che sia blu o rossa, interviene a gamba tesa dialogando direttamente con i singoli paesi europei, con pressioni più o meno soft, in una sorta di cherry picking di Paesi e dossier. Dunque gli occhi della Casa bianca e della campagna Maga sono puntati alle elezioni europee, con una cornice e accenti differenti ma alcuni tratti comuni.
Per Biden, più delle enunciazioni parlano le scelte della sua amministrazione. Parlando a marzo sullo Stato dell’Unione, il Presidente ha indicato un macro-tema: “la libertà e la democrazia sono sotto attacco sia a casa nostra sia all’estero”. E dunque una forte rivendicazione di aver “reso la Nato più forte che mai”, spingendo gli alleati a contribuire di più ma dando un contributo determinante all’Alleanza rispetto al suo predecessore. A volte, vale la pena ricordarlo, privilegiando rapporti diretti bilaterali con i singoli paesi, a scapito del rapporto con Bruxelles. La crisi in Ucraina ha rafforzato anche l’interrelazione sul fronte dell’energia, ma in questo campo le incognite non mancano. Se il legame complessivo con la Ue è stato tutto sommato positivo, vero è che le frizioni non sono mancate e dunque si presume che non mancheranno. Basti pensare al pacchetto antinflazione messo in campo dall’amministrazione democratica e che ha creato immediate ripercussioni sull’economia europea o l’ipersensibilità americana verso i rapporti degli europei con la Cina o la tentazione di confondere e sovrapporre i ruoli di Ue e Nato. E’ anche vero però che con Biden si sono cercate policy comuni con la Ue su intelligenza artificiale, 6G, semiconduttori, materie prime per governare le quali è stato creato un nuovo Consiglio per il commercio e la tecnologia UE-USA. Per quanto riguarda Trump, al netto delle sue dichiarazioni, a volte apparentemente contrastanti, basta scorrere il capitolo di politica estera dedicato all’Europa in Project 2025, la piattaforma programmatica che sostiene la sua campagna, per capire che sono tre i principali rischi che consigliano di occuparsi di più di Europa: i suoi rapporti con la Cina, la mancanza di un ruolo inglese a Bruxelles, il rischio di influenza russa sul fianco est.
“La politica estera americana ha beneficiato a lungo della cooperazione con i paesi d’Europa (e con la UE), e ogni amministrazione conservatrice dovrebbe costruire su questa risorsa. Eppure le relazioni transatlantiche sono complesse, dal punto di vista di sicurezza, commercio e politica”. Innanzitutto, il tasto dolente delle spese di difesa: “Non ci si può aspettare che gli Stati Uniti forniscano un ombrello di difesa ai paesi che non sono disposti a contribuire adeguatamente”. E l’asticella fissata è l’ormai noto 2% del Pil da parte dei paesi Nato, che la prossima eventuale amministrazione chiede addirittura di superare.
“In secondo luogo – prosegue il paper di Project 2025 – il commercio transatlantico costituisce una parte significativa dell’economia globale, ed è nell’interesse nazionale degli Stati Uniti amplificarlo, soprattutto perché ciò significa ‘svezzare’ l’Europa della sua dipendenza dalla Cina”. Ma anche altre tensioni disturbano le relazioni USA-UE e gli Usa devono intraprendere una “revisione globale” degli accordi di commercio con la Ue per garantire che le imprese statunitensi siano trattate equamente. Tutti ricordano la politica dei dazi di Trump, che ha seppur lievemente investito anche l’Italia. E i repubblicani guardano anche al Regno Unito post-Brexit con cui bisogna intensificare gli accordi “prima che Londra ricada nell’orbita della UE”, lamentando che essa non possa più influenzare le scelte di Bruxelles. L’invito è dunque alla prossima diplomazia Usa a “essere più vigile, sviluppando nuovi alleati in Ue, in particolare tra i paesi dell’Europa centrale e orientale più vulnerabili all’aggressione russa”.
Dunque se questo week end gli occhi di Washington saranno puntati su Bruxelles, da lunedì prossimo al 4 novembre saranno i nuovi leader dell’Unione ad attendere con il fiato sospeso l’esito del voto degli americani, per capire quale sarà la postura del principale e storico alleato. (AGI)