L’allarme per il calo demografico che pesa come un macigno sulle prospettive di crescita dell’Italia e va contrastato anche attraverso maggiori flussi di immigrazione regolare. L’invito a rafforzare l’integrazione europea attraverso riforme e politiche comuni per scongiurare l’altrimenti inevitabile «irrilevanza dei singoli Stati membri ». Il monito al governo a «liberarci del fardello del debito pubblico»: da un lato attraverso una gestione prudente dei conti pubblici e una lotta agli sprechi, dall’altro spingendo il pedale della crescita economica, della produttività e dell’innovazione tecnologica. Ecco i punti chiave nelle “Considerazioni finali” del governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta, al suo esordio ieri mattina con la Relazione annuale dopo l’ascesa al vertice dell’istituto il primo novembre scorso. Una relazione di 27 pagine nella quale Panetta ha elencato senza sconti i punti di debolezza e di forza del nostro Paese e indicato le direttrici decisive per evitare che l’Italia e l’Europa intera si avvitino definitivamente su una strada di declino. Ad ascoltarlo oltre 500 invitati: in pratica i vertici di tutto il sistema bancario italiano, i big dell’impreditoria ed esponenti politici e sindacali. « Non dobbiamo farci illusioni: la nostra economia soffre ancora di problemi gravi, alcuni radicati e di difficile soluzione. Il ritardo economico del Mezzogiorno e l’elevato debito pubblico sono questioni ineludibili per la politica economica », ha osservato Panetta ma «l’agenda è chiara» e «va realizzata per tornare a crescere e per contare in Europa, e con l’Europa contare nel mondo ». Secondo il governatore l’aggiornamento tecnologico, lo sviluppo della ricerca, il miglioramento delle competenze dei lavoratori saranno decisivi per vincere la scommessa. Così come lo sarà sul piano interno una maggiore apertura dell’economia alla concorrenza. E su un piano internazionale il rafforzamento delle politiche comunitarie volte a «migliorare la compe-titività e rafforzare l’autonomia strategica» del Vecchio continente.
Destino Europa.
« L’Italia ha concorso a fondare l’Unione europea: ora può e deve concorrere al suo progresso. E’ con la forza di questa prospettiva che dobbiamo guardare con fiducia al futuro », ha concluso il suo intervento Panetta, che nella sua analisi è sembrato rievocare il rapporto sul mercato unico Ue presentato ad aprile da Enrico Letta e le recenti dichiarazioni di Mario Draghi sulla necessità di una maggiore integrazione comunitaria. Mentre la recente riforma del Patto di Stabilità da parte dei 27 non sembra entusiasmare affatto il governatore che ha sottolineato la «mancanza di avanzamenti verso una politica di bilancio comune». Va invece all’indirizzo della Bce il messaggio – e non è la prima volta – di non indugiare troppo sulla riduzione dei tassi di interesse: « Nel definire il percorso di riduzione dei tassi ufficiali bisognerà considerare che un’azione tempestiva e graduale permetterà di contenere la volatilità macroeconomica rispetto a un’azione tardiva e precipitosa », ha ammonito.
Le prospettive dell’Italia.
« Non siamo condannati alla stagnazione», ha sottolineato il numero uno di Bankitalia. L’Italia è stato il Paese con la minore crescita del Pil pro capite negli ultimi 25 anni e i salari sono inferiori di un quarto a quelli di Francia e Germania. Eppure dal 2019 in poi il Pil italiano è cresciuto del 3,5%, più dei nostri vicini, così come la dinamica degli investimenti e delle esportazioni, e l’occupazione è aumentata di quasi 600mila persone. Ci sono dunque elementi di vitalità inaspettata nella nostra economia. Ma una crescita sostenuta, avverte Panetta, potrà proseguire «solo se sapremo affrontare le conseguenze del calo e dell’invecchiamento della popolazione» e al contempo «imprimere una decisiva accelerazione alla produttività ».
Declino demografico e fuga dei giovani.
Il governatore ha rilanciato i dati dell’Istat per sottolineare le gravissime conseguenze del calo della popolazione sull’economia. Le previsioni indicano infatti da oggi al 2040 una diminuzione di 5,4 milioni di persone in età lavorativa, una voragine produttiva che nonostante un afflusso annuo previsto di 170 mila immigrati dall’estero, spazzerebbe via il 13% del Pil italiano, con un meno 9% in termini pro capite. Per evitare o perlomeno attenuare questo crollo è necessario intanto accrescere la partecipazione al mercato del lavoro che è indebolita anche dall’esodo verso l’estero dei nostri giovani: tra il 2008 e il 2022 se ne sono andati in 525mila, spesso con una laurea in tasca, a cercare migliori opportunità di stipendio e di carriera. Nonostante il calo generale dei disoccupati, il tasso di occupazione giovanile insieme a quello femminile, resta troppo basso e «sbilanciato verso professioni poco qua-lificate ». Ad accrescere l’occupazione potrebbero contribuire un migliore mix tra il lavoro in presenza e quello a distanza (il cosiddetto smart working), e un sistema fiscale e di welfare che «riduca i disincentivi al lavoro» per il secondo lavoratore in famiglia. Ma un ruolo decisivo lo avranno il rafforzamento del capitale umano e i flussi migratori. Un sostegno all’occupazione può arrivare da un numero di ingressi nel nostro Paese superiore a quello fin qui ipotizzato, ha affermato Panetta. Che suggerisce di gestirlo «in coordinamento con gli altri Paesi europei, bilanciando le esigenze della produzione con gli equilibri sociali e rafforzando le misure di integrazione dei cittadini stranieri nel sistema di istruzione e nel mercato del lavoro ».
Il fardello del debito.
Panetta invita poi il governo a realizzare un «graduale e costante miglioramento dei conti pubblici». Il debito pubblico va posto «su una traiettoria stabilmente discendente». E «quanto più la prospettiva di riduzione del debito sarà credibile, tanto minori saranno i rendimenti che gli investitori chiederanno per detenerlo». Sono necessarie «scelte attente » soprattutto sul lato della spesa mentre un contributo dovrà derivare dal contrasto all’evasione fiscale. Decisiva anche una piena attuazione delle riforme e degli investimenti previsti del Pnrr che «oltre a innalzare il prodotto di oltre di 2 punti percentuali nel breve termine, avrebbe effetti duraturi sulla crescita dovuti a incrementi di produttività stimabili tra 3 e 6 punti percentuali in un decennio». Non desta preoccupazioni, infime, lo s tato di salute del sistema bancario italiano che è «solido e ben capitalizzato», anche se occorre restare vigili.
Fonte: Avvenire