Il problema non è promuovere le une a spese delle altre ma ridurre i vincoli che ingabbiano la formazione terziaria nel nostro paese, sia in presenza che a distanza.
Le università telematiche si rivolgono a un pubblico diverso da quello degli atenei in presenza, composto in gran parte di studenti lavoratori o residenti nelle aree meno dinamiche. Lo confermano l’età degli studenti (l’80 per cento dei laureati delle tradizionali ha 23 anni contro il 20 per cento delle telematiche) e la regione di provenienza (oltre la metà degli iscritti alle telematiche risiede nel Mezzogiorno). Per questo, imporre vincoli eccessivamente stringenti – per esempio in relazione alle lezioni in streaming anziché asincrone – rischia di privare queste persone di un’opportunità.
Nel conflitto tra le università statali (in presenza) e quelle private (online) si sono spesso evocate le qualità e le debolezze dell’una e dell’altra forma di erogazione degli insegnamenti. Sul tema ovviamente, si potrebbe discutere a lungo, perché se da un lato è vero che nel rapporto interpersonale e dialogico tra il docente e il discente c’è qualcosa di irripetibile, è egualmente vero che le lezioni registrate impongono al professore una cura diversa della lezione e una speciale attenzione alla didattica. Ci si può azzardare a prevedere che tutti un po’ alla volta prenderanno atto che oggi disponiamo di modalità didattiche concorrenti e complementari, e che è assurdo evitare ogni progettazione ibrida e ogni tentativo di prendere il meglio dell’una e dell’altra didattica.
Fonte: Istituto Bruno Leoni