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Dal mito della caverna di Platone all’alta tecnologia

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Il mondo concreto è sempre più minacciato da altre forme di realtà, più o meno virtuali e artificiali, che spesso ci spingono a interrogarci su cosa sia davvero reale e cosa, invece, sia frutto di una percezione alterata. Ma, allora, dobbiamo chiederci quando una percezione possa definirsi «alterata», dato che talvolta è qualcosa di assolutamente soggettivo, frutto della esperienza personale e del nostro modo di vedere le cose. Esemplare, a questo proposito, è il celebre Mito della caverna raccontato da Platone nel settimo libro di La Repubblica: alcuni prigionieri incatenati sul fondo di una caverna con lo sguardo rivolto verso la parete possono vedere soltanto le ombre del mondo di fuori. Uno di loro riesce a liberarsi ed esce nel mondo reale, dove conosce la luce e i colori. Rientrato dai suoi compagni, prova a convincerli dell’illusione della loro condizione, ma non ci riesce, e viene ucciso da coloro che non volevano essere più infastiditi, preferendo una comoda illusione a una più impegnativa verità.
La riflessione sulla percezione della realtà, dunque, appartiene a pieno titolo alla tradizione filosofica occidentale sin dalle origini, diventando nel ’900 una disciplina filosofica con Edmund Husserl e i suoi discepoli i quali, come spesso accade, abbandonano il maestro per aprire nuove strade. È questo il caso del filosofo francese Maurice Merleau-Ponty, teorizzatore di una fenomenologia – ossia dello studio di ciò che appare nella sua essenza – che interpreta il mondo secondo una «filosofia della relazione». Illustra bene il suo pensiero il saggio Maurice Merleau-Ponty (Feltrinelli, pagg. 190, euro 16) di Luca Taddio, docente di Estetica e studioso di fenomenologia della percezione il quale, in modo chiaro – compatibilmente con l’argomento trattato- dimostra come il filosofo ci permetta di riflettere sul mondo contemporaneo in modo originale e proficuo, partendo dalle incredibili trasformazioni scientifiche che solo pochi anni fa sarebbero state inimmaginabili. Ma proprio per questo, suggerisce Taddio sulle orme di Merleau Ponty, è importante essere consapevoli che, per quanto la tecnica possa accrescere la nostra volontà di potenza e manipolare il nostro corpo, l’esperienza sarà sempre legata alla percezione della realtà. Ogni forma di vita, infatti, partecipa a un’unica realtà, che si può conoscere solo attraverso le nostre relazioni con essa, anche se tali legami non sono immediatamente evidenti, ma si articolano attraverso un gioco di relazioni tra ciò che è visibile e ciò che non lo è.
Stiamo parlando di idee difficili, espresse in termini complicati e che affrontano temi per specialisti, ma in fondo si tratta di una riflessione sulla realtà, ovvero ciò che ci circonda e che, come confermano grandi pensatori del ’900 come Wittgenstein, Husserl e soprattutto Heidegger, non si può analizzare con un linguaggio semplice. Altrimenti non sarebbe Filosofia.

Di Luca Gallesi – fonte: https://www.ilgiornale.it/news/letteratura/lesperienza-lavoro-realt-e-apparenza-merleau-ponty-e-2293224.html