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Germania: sempre più imprese si dichiarano fallite

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Fa riflettere un altro caso di fallimento imprenditoriale in Germania, che vede così compromessa la sua fama di locomotiva d’Europa. L’ultimo episodio è quello della Galeria Karstadt Kaufhof, la catena di grandi magazzini che rischia la bancarotta per la terza volta in tre anni. Dopo che la casa madre ha dichiarato fallimento, Galeria potrà – secondo il curatore fallimentare Stefan Denkhaus – sopravvivere fino alla fine della prossima estate ma c’è grande incertezza su quello che succederà dopo e che verrà discusso martedì prossimo in una riunione ah hoc. Secondo alcune fonti ad Handelsblatt, in realtà la società presenterà dopodomani istanza di fallimento presso il tribunale distrettuale di Essen. L’obiettivo è avere una procedura normale concorsuale e non una ristrutturazione autogestita come avvenuto per Signa. Il futuro dei 15.000 dipendenti dei restanti 92 grandi magazzini resta ancora una volta incerto e quel che appare sicuro è che il numero delle filiali diminuirà drasticamente.
Galeria non è un caso isolato. A inizio anno ha ‘mollato’ anche il produttore di borse Bree, con sede ad Amburgo, che include tra i i clienti anche il cancelliere Olaf Scholz. Nelle scorse settimane l’Ufficio Federale di Statistica (Destatis), ha pubblicato un rapporto dal quale si evince che la Germania sta assistendo a un numero crescente di imprese e persone che richiedono l’insolvenza e dichiarano bancarotta. Secondo tali dati, le richieste di insolvenza sono aumentate del 22,4% nell’ottobre 2023 rispetto all’ottobre 2022. A settembre la percentuale era del 19,5%. L’ufficio di statistica ha fatto sapere di aver registrato costantemente aumenti a due cifre da giugno. I dati si riferiscono solo alle aziende che cessano l’attività nell’ambito di un processo di insolvenza ordinato e non a quelle che sono soggette a fallimento forzato a causa dell’incapacità di pagare le fatture o per altri motivi.
Dalla crisi non è risparmiato il terziario, a maggior ragione dopo che Berlino ha posto fine all’aliquota temporanea ridotta dell’Iva sui pasti al ristorante introdotta durante la pandemia: da un’analisi di Crif, è emerso che oltre 15.000 ristoranti, pub, snack bar e caffè tedeschi sono sull’orlo dell’insolvenza, ossia il 12,6% delle aziende, con un aumento significativo rispetto al 10,7% registrato a gennaio 2020 prima dell’inizio della pandemia, pari a 12.662 aziende. La situazione dei ristoratori di Berlino è particolarmente critica, con il 16,5% delle imprese della capitale a rischio di insolvenza. Al contrario, la Baviera e la Renania registrano il rischio di insolvenza più basso, pari al 10,5%. Questo perché nonostante il passare del tempo dall’impatto iniziale della pandemia, il settore gastronomico tedesco deve ancora riprendersi completamente. Sono i bar ad essere particolarmente colpiti, con un calo impressionante del 34,5% dei ricavi da bevande negli ultimi quattro anni. Nello stesso lasso di tempo, i ristoranti, i pub e le caffetterie hanno fatto segnare un calo delle entrate dell’8,1%.
Il Financial Times dedica un report al momento di affanno che stanno attraversando le imprese tedesche. Secondo gli ultimi dati, nel 2024 falliranno a un ritmo più elevato dopo il già forte aumento delle insolvenze nel 2023 quando le aziende – colpite dagli alti costi dell’energia e dalla fine degli aiuti per la pandemia – hanno gettato la spugna. Gli esperti avvertono che molte aziende “zombie”, tenute a galla dopo la pandemia di coronavirus grazie a generosi aiuti governativi e alla sospensione dell’obbligo di presentare istanza di fallimento – che hanno fatto scendere le insolvenze a livelli insolitamente bassi – stanno ora collassando. Il cocktail micidiale che ha colpito il tessuto imprenditoriale tedesco è dovuto alla stagnazione dell’economia, combinata con gli alti tassi di interesse, l’aumento dei salari, i prezzi elevati dell’energia e la stretta di bilancio del governo. Si prevede che quest’anno le insolvenze aumenteranno tra il 10% e il 30%, avvertono gli esperti, superando i livelli pre-pandemici. Una di queste è l’85enne Haba, produttrice di giocattoli in legno. Secondo la portavoce Ilka Kunzelmann, i guasti alle consegne causati da “decisioni sbagliate” sui sistemi informatici delle attività di abbigliamento online per bambini di Haba hanno aggravato il “pesante fardello” che l’azienda stava già sopportando a causa dell’impennata dei costi dell’energia e del legno. Alla fine, Haba è stata dichiarata insolvente da un tribunale a dicembre e prevede di uscirne a marzo, dopo aver licenziato circa un terzo dei suoi 1.500 dipendenti, chiuso la sua divisione di abbigliamento online e venduto una fabbrica di mobili per la scuola. Da parte sua, il ministero dell’Economia tedesco ha dichiarato che il contesto imprenditoriale è “difficile”, ma ha minimizzato l’entità del problema: “In una prospettiva a lungo termine, e rispetto al periodo precedente alla pandemia, le insolvenze aziendali non sono attualmente a un livello sensibilmente elevato”. Wolfgang Steiger, capo del consiglio economico del partito di opposizione CDU, ha messo invece l’indice contro la “disastrosa politica economica” del governo di aver fatto aumentare il tasso di insolvenza della Germania più velocemente di molti altri Paesi.
Nel terzo trimestre l’economia tedesca ha subito una contrazione dello 0,4% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, a seguito del forte calo delle vendite al dettaglio, delle esportazioni e della produzione industriale. Secondo l’Ocse, quest’anno la crescita del Paese dovrebbe salire allo 0,6%. Ma rimarrebbe comunque una delle grandi economie più deboli del mondo e diversi analisti hanno rivisto al ribasso le loro previsioni da quando il governo ha tagliato i piani di spesa per colmare il buco di 60 miliardi di euro nel bilancio lasciato da una sentenza della Corte costituzionale contro i fondi fuori bilancio. Secondo Jonas Eckhardt, specialista della società di consulenza per le ristrutturazioni Falkensteg, citato dal FT, nel 2024 le insolvenze aumenteranno di oltre il 30% tra le aziende con un fatturato annuo superiore ai 10 milioni di euro. La causa andrebbe ricercata nel sensibile aumento dei tassi di interesse da parte della Bce che ha reso più difficile per le aziende uscire dall’insolvenza trovando nuovi investitori. Altri dati, pubblicati da Falkensteg, hanno messo in rilievo il fatto che alla fine dello scorso anno solo il 52% delle aziende poteva essere salvato dall’insolvenza, rispetto al 62% di due anni fa.
Sarebbero inoltre le imprese più giovani le più colpite dalla crisi: secondo il fornitore di dati Startupdetector, lo scorso anno quasi 300 start-up tedesche hanno presentato istanza di insolvenza, con un aumento del 65% rispetto al 2022. Tra queste, l’azienda di auto a energia solare Sono Motors, il commerciante online Social Chain e il produttore di software antifrode Fraugster. Molte delle aziende più grandi fallite l’anno scorso erano rivenditori di moda, fornitori di trasporti, società immobiliari e fornitori di auto. Anche le case di cura e le cliniche tedesche hanno registrato un numero elevato di insolvenze, poiché hanno faticato a trasferire i costi salariali ed energetici più elevati al sistema di assicurazione sanitaria. Ridimensiona invece il ‘problema’ Maxime Lemerle, consulente capo per la ricerca sull’insolvenza di Allianz, secondo cui sebbene non abbia ancora raggiunto gli alti livelli di sofferenza aziendale dopo la crisi finanziaria del 2008, il recente aumento dei fallimenti in Germania e altrove è ora “più di una normalizzazione, ma non ancora uno tsunami”.(AGI)

PIT