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ESG e clausole statutarie: dallo scopo di lucro al successo sostenibile

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Corrado Malberti

Professore Associato di Diritto Commerciale, Università di Trento; Componente della Commissione societaria del Consiglio Notarile di Milano

Nel settembre del 2023, la Commissione società del Comitato interregionale dei Consigli notarili delle Tre Venezie è tornata ad affrontare il tema dell’environmental, social, and governance (riassunto nell’acronimo ESG), cercando di conciliare lo scopo lucrativo delle società con il perseguimento di finalità di utilità sociale.

Nel 1970 Friedman pubblicava un celebre articolo sul New York Times Magazine, con cui riproponeva alcune tesi già sostenute otto anni prima in Capitalism and Freedom, affermando che l’unica responsabilità sociale delle imprese fosse quella di massimizzare i profitti. Oggetto della critica di Friedman era in particolare la scelta del management di General Motors di istituire un nuovo public-policy committee, che avrebbe dovuto occuparsi di temi di utilità sociale. A sua volta, General Motors aveva preso questa decisione perché alcuni attivisti avevano chiesto in assemblea – senza successo – l’istituzione di un comitato per studiare la performance della società su temi quali la sicurezza dei prodotti e l’inquinamento, proponendo di nominare tre amministratori che rappresentassero interessi di utilità sociale. Nonostante questa chiara presa di posizione, Friedman riteneva però anche che l’attività d’impresa avrebbe dovuto comunque rispettare le c.d. «rules of the game» imposte dall’ordinamento: nella sua prospettiva, quindi, gli stakeholder e la società in generale sarebbero stati tutelati in modo più efficace con la previsione di vincoli esterni all’attività imprenditoriale piuttosto che con regole di governance.

Circa vent’anni dopo questo articolo, Easterbrook e Fischel pubblicavano The Economic Structure of Corporate Law, in cui sostenevano che, in ultima istanza, la scelta di dare prevalenza agli interessi dei soci o degli stakeholder dovesse essere libera. Ciononostante, almeno come regola suppletiva, la massimizzazione degli utili nel lungo periodo appariva preferibile, perché una scelta diversa si sarebbe scontrata con le leggi del mercato. Questa impostazione rievocava anche le considerazioni di Posner, che, in Economic Analyis of Law, segnalava che la massimizzazione degli utili, più che un dovere, fosse in realtà la logica conseguenza delle pressioni concorrenziali imposte al management dal mercato del prodotto, da quello del controllo societario e dalle regole di governance.

Calate nel nostro ordinamento, queste considerazioni evocano il delicato dibattito sull’interesse sociale e la classica contrapposizione tra istituzionalismo e contrattualismo: mentre per i fautori di quest’ultima impostazione l’interesse sociale, in definitiva, sarebbe quello dei soci, le tesi istituzionaliste ritengono che occorra andare oltre gli interessi di questi soggetti. Tuttavia, anche all’interno di questi due approcci contrapposti, vi sono posizioni variegate, e così, senza pretesa di completezza, i sostenitori del contrattualismo ritengono che l’interesse sociale possa essere, rispettivamente, un interesse agli utili dell’attività sociale, al valore globale delle partecipazioni, o alla distribuzione degli utili. Chi aderisce a impostazioni istituzionaliste, d’altra parte, afferma che, alternativamente, si debbano prendere in considerazione anche, gli interessi dei dipendenti, dei risparmiatori, dei creditori o dell’economia nazionale. Se si idealizzano gli interessi dei soci, questi due diversi approcci sembrano poi quasi toccarsi. Ciò accade se si sostiene che i soci abbiano interessi omogenei, assimilando, ad esempio, gli interessi della maggioranza e della minoranza, quelli dei soci presenti e futuri, o, ancora, qualora si affermi che i soci perseguano necessariamente obiettivi di carattere economico.

Proprio in questa direzione era orientato il primo codice di autodisciplina delle società quotate del 1999, in cui si affermava che lo scopo principale di una buona Corporate Governance fosse quello della «massimizzazione del valore per gli azionisti, ritenendo che il perseguimento di tale obiettivo, in un orizzonte temporale non breve, possa innescare un circolo virtuoso, in termini di efficienza e di integrità aziendale, tale da ripercuotersi positivamente anche sugli altri stakeholder – quali i clienti, creditori, consumatori, fornitori, dipendenti, le comunità e l’ambiente – i cui interessi sono già tutelati nel nostro ordinamento». Successivamente, nel 2003, anche la riforma del diritto societario aderiva in parte a questa impostazione, prevedendo all’art. 2497 c.c. che le «società o gli enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società, agiscono nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale».

Questi temi sono tornati di grande attualità sulla spinta del dibattito sull’environmental, social, and governance. Così, sullo sfondo delle classiche discussioni sul tramonto dello scopo lucrativo, dell’introduzione delle società benefit e della riforma dell’impresa sociale, il nuovo Codice di Corporate Governance, nel 2020, dopo aver abbandonato da tempo il paradigma dello shareholder value afferma che l’organo amministrativo «guida la società perseguendone il successo sostenibile», da intendersi come l’«obiettivo che guida l’azione dell’organo di amministrazione e che si sostanzia nella creazione di valore nel lungo termine a beneficio degli azionisti, tenendo conto degli interessi degli altri stakeholder rilevanti per la società». Il Codice di Corporate Governance, quindi, oggi adotta il paradigma del c.d. enlightened shareholder value, seguendo le orme del Companies Act inglese del 2006.

In questo contesto in rapida evoluzione anche gli statuti sociali diventano quindi un banco di prova per verificare l’adesione delle società alle politiche di environmental, social, and corporate governance. Di conseguenza, anche il notariato deve confrontarsi con la legittimità di previsioni statutarie orientate al perseguimento di questi nuovi obiettivi.

Per venire incontro a queste esigenze, nel settembre del 2022, la Commissione società del Comitato interregionale dei Consigli notarili delle Tre Venezie ha presentato l’orientamento A.A.15, ora abrogato, relativo all’ammissibilità di clausole statutarie che prevedono lo svolgimento di attività economiche con criteri diversi da quello del massimo profitto, stabilendo, in particolare, che è possibile dettare regole etiche o di sostenibilità nella gestione della società, «anche a scapito della massimizzazione dei profitti e della efficienza produttiva». Tuttavia dette clausole dovrebbero integrare «esclusivamente una modalità di perseguimento del fine di lucro senza aggiungere ad esso un ulteriore fine di utilità sociale, fine quest’ultimo di per sé estraneo al contratto di società», mentre il perseguimento, al contempo, di uno scopo di lucro e di obiettivi di utilità sociale sarebbe possibile nelle società benefit.

Da ultimo, nel settembre del 2023, la Commissione società del Comitato interregionale dei Consigli notarili delle Tre Venezie è tornata nuovamente ad esprimersi su questi temi, adottando sei orientamenti in materia di ESG e sostenibilità. Il primo di questi orientamenti (A.B.1) ripropone quasi integralmente il testo dell’orientamento A.A.15, togliendo, tra l’altro, il riferimento finale alle società benefit. Gli altri, invece, riguardano la destinazione di utili a finalità di sostenibilità (A.B.2), l’integrazione degli interessi degli stakeholder nelle decisioni dell’organo amministrativo (A.B.3), l’imposizione di obblighi di consultazione con gli stakeholder (A.B.4), la valutazione della performance degli amministratori (A.B.5) e, infine, la previsione di determinati requisiti di carattere etico per l’assunzione di partecipazioni sociali (A.B.6).

Questi nuovi orientamenti offrono diversi spunti di riflessione. L’orientamento A.B.1, ad esempio, pur continuando a muoversi nella prospettiva dell’art. 2247 c.c., che richiede l’esercizio di un’attività economica allo scopo di dividere gli utili, riconosce l’ammissibilità di clausole statutarie che dettano specifiche regole etiche o di sostenibilità. Resta sullo sfondo, invece, la questione della possibilità di prevedere vere e proprie clausole relative alla raison d’être o al purpose, da intendersi, per usare la terminologia del code de commerce francese, come quelle clausole relative ai principi che le società hanno adottato e per i quali intendono destinare le risorse nello svolgimento delle proprie attività. Per essere più chiari, non sempre lo scopo di lucro e il perseguimento di altri interessi si trovano in diretta contrapposizione tra loro, ma spesso possono coincidere. In questa prospettiva la raison d’être non è una semplice modalità di conseguimento dell’utile, ma, al contrario, gli utili sono una conseguenza della realizzazione della raison d’être (traducendo le parole di Colin Mayer, il purpose della società è fare cose che affrontino i problemi che ci toccano come clienti e comunità, fornitori e azionisti, dipendenti e pensionati; in questo processo il purpose produce profitti, ma i profitti non sono il purpose delle società in sé. Sono il prodotto del loro purpose).

Ugualmente degno di nota è poi l’orientamento A.B.2 sulla destinazione degli utili per finalità di sostenibilità. In particolare, è lecito interrogarsi se questa destinazione possa essere configurata, sia come una spesa a carico della società, sia come un vero e proprio impiego di utili. In questa stessa prospettiva, l’orientamento, nello stabilire che, nei limiti fissati dallo statuto, «l’effettiva destinazione e l’importo da destinare saranno determinati dall’organo amministrativo», se del caso previa autorizzazione assembleare ai sensi dell’art. 2364, comma 1, n. 5, c.c., non affronta il tema se si possano prevedere anche soluzioni di altro tipo, che prescindano dall’intervento dell’organo amministrativo, né fornisce indicazioni sulla possibile esistenza di limiti alla destinazione degli utili per finalità di sostenibilità, oltre a quelli imposti dal divieto di patto leonino.

Nell’orientamento A.B.3, relativo alle clausole che impongono agli amministratori di tener conto degli interessi degli stakeholder, la Commissione società del Comitato interregionale dei Consigli notarili delle Tre Venezie richiede poi che siano soddisfatti requisiti di analiticità e specificità. Ciononostante, è bene ricordare che, in particolare negli statuti delle società quotate, non mancano riferimenti – spesso piuttosto vaghi – al “successo sostenibile”, sulla falsariga di quanto previsto dal Codice di Corporate Governance. Se queste clausole – forse – mancano di un contenuto puntuale che consenta la realizzazione di obiettivi ESG in modo efficace, non sembra però che, per questa sola ragione, esse debbano essere ritenute irricevibili.

Significativo è poi l’orientamento A.B.4 sulle previsioni statutarie relative al coinvolgimento degli stakeholder nella gestione. Al riguardo è lecito interrogarsi sui limiti che possano incontrare le clausole che prevedono obblighi di informazione e di consultazione e se sia possibile – in qualche modo – immaginare soluzioni tecniche per consentire la partecipazione di rappresentanti degli stakeholder negli organi sociali.

Certamente condivisibili, infine, sono gli orientamenti sulla valutazione della performance degli amministratori (A.B.5) e sulle clausole di gradimento relative ai requisiti etici dei soci (A.B.6).

In conclusione, gli orientamenti della Commissione società del Comitato interregionale dei Consigli notarili delle Tre Venezie in materia di sostenibilità costituiscono un primo importante passo verso il riconoscimento nella prassi statutaria di un dibattito che, ormai da tempo, anima anche il nostro diritto societario. Non dovremo stupirci se, in futuro, gli interventi delle massime notarili su questi temi si faranno più frequenti, consentendo alle società di aderire in modo sempre più convinto ai nuovi paradigmi promossi dall’environmental, social, and governance.

Fonte: Diritto Bancario

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