L’opera, che ha inaugurato la stagione dal 1868 per ben otto volte, sarà diretta dal direttore musicale Riccardo Chailly sul podio dell’Orchestra del Teatro alla Scala
Quest’anno il presidente della Repubblica Sergio Mattarella non interverrà alla prima della Scala. Non ci saranno nemmeno la presidente del consiglio Giorgia Meloni e neppure la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, un terzetto che aveva caratterizzato il parterre de rois della passata edizione. Ma sull’assenza del Capo dello Stato non c’è nessun retroscena: “Il presidente della Repubblica – spiega il sovrintendente del Teatro alla Scala di Milano Dominique Meyer – non potrà esserci per motivi di un calendario di impegni troppo fitto. Era lui stesso imbarazzato di non poter venire”. Prosegue Meyer: “Ci lega un rapporto di grande stima che lo ha visto sempre presente nei momenti più importanti della storia recente del Teatro”.
La prima è quella del “Don Carlo” di Giuseppe Verdi. L’opera, che il 7 dicembre apre la stagione di uno dei templi internazionali della lirica, è diretta da Riccardo Chailly con un cast di stelle internazionali sul palco. Ma quest’anno non avrà quella parata di figure istituzionali che nel 2022 ha fatto andare il palco reale in overbooking.
Ci saranno invece il presidente del Senato Ignazio La Russa, seconda carica dello Stato, il vicepremier Matteo Salvini e il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, oltre al sindaco Beppe Sala e al presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana. Non accadeva dall’Andrea Chénier del 2017 che non fossero presenti né il presidente della Repubblica né il premier.
L’anno scorso l’affollamento di figure istituzionali alla recita del “Boris Godunov” del compositore russo Mussorgskij è stata la diretta derivazione della situazione internazionale delicata. Era una fase di violenta polemica verso gli artisti russi che non prendevano le distanze dalla guerra di Putin all’Ucraina e l’invito del console ucraino (“non aprite la stagione con quell’opera”) aveva aumentato il livello della tensione. In questa chiave, di raffreddamento delle tensioni, era stato letto l’arrivo della von der Leyen. Oggi lo scenario della prima che inaugura la stagione è diverso. E il teatro, come ricorda il sovrintendente, “è fatto per il pubblico”.
Musica, regia, allestimento, cast
Il Don Carlo di Giuseppe Verdi è proposto (alle ore 18 del 7 dicembre, trasmesso in diretta televisiva su Rai1 e radiofonica su Radio3) nella versione approntata dal compositore per la Scala nel 1884. L’opera, che ha inaugurato la stagione dal 1868 per ben otto volte, sarà diretta dal direttore musicale Riccardo Chailly sul podio dell’Orchestra del Teatro alla Scala. Il cast è una vera parata di stelle. Schiera Francesco Meli come Don Carlo, Anna Netrebko come Elisabetta di Valois, Michele Pertusi come Filippo II, Elīna Garanča come Principessa d’Eboli, Luca Salsi come Marchese di Posa e Ain Anger come Grande Inquisitore. Protagonista di non minore rilievo il Coro del Teatro alla Scala diretto da Alberto Malazzi. Le scene sono di Daniel Bianco, i costumi di Franca Squarciapino, le luci di Pascal Mérat, i video di Franc Aleu e la coreografia di Nuria Castejón.
Perché aprire con il Don Carlo
Per Riccardo Chailly Don Carlo è il compimento di una riflessione sul potere estesa su tre inaugurazioni di stagione, dopo Macbeth di Verdi nel 2021 e Boris Godunov nel 2022. Mette in scena le logiche spietate di chi detiene il potere assoluto contro il popolo degli oppressi e la loro aspirazione alla felicità individuale.
E’ un ritorno al Verdi della maturità dopo le tre inaugurazioni dedicate all’evoluzione delle opere giovanili: Giovanna d’Arco nel 2015, Attila nel 2018 e Macbeth nel 2021. Nel suo nuovo approccio a Don Carlo, che aveva diretto ad Amsterdam nel 2010 in un allestimento di Willy Decker, il maestro ripercorre le edizioni dirette da Claudio Abbado nel 1968 e 1977, di cui aveva seguito le prove, ma fa riferimento anche allo studio diretto dei manoscritti messi a disposizione da Ricordi. Come nell’edizione di Abbado, l’introduzione al monologo di Filippo II di Spagna è affidato alla sezione intera dei violoncelli secondo partitura e non al violoncello solo come spesso accade.
La produzione
L’impianto scenico si trasforma senza interrompere lo svolgimento dell’azione nei diversi spazi previsti dal libretto grazie alla alternanza di colossali elementi scenografici. I temi verdiani, la libertà dei sentimenti, la difficile relazione tra padri e figli e la liberazione dei popoli oppressi scorrono sullo sfondo del conflitto fra il potere temporale e quello religioso. Don Carlo ci porta dietro le quinte dello spettacolo del potere. Per rendere l’atmosfera sospesa tra ambiente ecclesiastico e secolare il regista Lluís Pasqual e lo scenografo Daniel Bianco hanno fatto riferimento all’uso dell’alabastro nelle finestre degli edifici religiosi ma anche civili e in particolare alla grande finestra della Collegiata di Santa María La Mayor nella città spagnola di Toro. Questi spazi sono animati dal pittoricismo dei costumi di Franca Squarciapino, che riprendono l’abbigliamento della ritrattistica dell’epoca ma lo alleggeriscono. L’impianto è documentato ma non filologico: pur collocati nel contesto storico, i protagonisti rappresentano emozioni e caratteristiche umane presenti in ogni tempo. Il colore prevalente è il nero, non come espressione di mortificazione o di lutto ma come esibizione di potere e ricchezza: nel ‘500 velluti e broccati neri erano tra le stoffe di maggior pregio.
Le versioni dell’opera
La prima assoluta di Don Carlos è all’Opéra di Parigi nel 1867. È la terza opera scritta da Verdi per la Francia dopo Jérusalem e Les Vêpres Siciliennes (1855). Il libretto francese di Joseph Méry e Camille du Locle è tratto dalla tragedia di Friedrich Schiller Don Karlos, Infant von Spanien andata in scena ad Amburgo nel 1787. L’opera, commissionata in occasione della seconda Esposizione Universale di Parigi era in cinque atti con balletto e proclamava i valori della libertà personale e politica contro l’oppressione dell’assolutismo religioso e statuale. La prima italiana segue di pochi mesi quella parigina con libretto tradotto in italiano. E dal 1868 si arriva alla produzione in lingua del 1884 al Teatro alla Scala. Qui Verdi opera non solo una serie di tagli ma un ripensamento profondo della struttura e in certo modo della natura stessa dell’opera. Ne emerge un dramma nuovo, più sintetico e agile, in cui il fattore politico e la figura di Filippo II prevalgono su quello psicologico/sentimentale. La revisione esprime la propensione di Verdi alla stringatezza drammatica: “i tagli – scrive – non guastano il dramma musicale, anzi accorciandolo lo rendono più vivo”.
di Simona Griggio – fonte: https://www.ilfattoquotidiano.it/