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Sanchez confermato, ma guiderà una Spagna divisa

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Il leader socialista spagnolo, Pedro Sánchez, è stato riconfermato dal Parlamento alla guida del governo di un Paese che appare sempre più profondamente diviso, e su su cui pesa la legge di amnistia concessa ai separatisti catalani, in cambio del loro sostegno.
Dopo due giorni di tesi dibattiti parlamentari, Sanchez ha ottenuto i voti di 179 deputati, un numero superiore alla maggioranza assoluta fissata a 176. “La fiducia della Camera è stata riposta in Pedro Sánchez”, ha tolto gli indugi la sua presidente, Francina Armengol, tra gli applausi dei banchi di sinistra. A votare a favore del socialista sono state otto forze politiche: il Psoe, la coalizione di sinistra Sumar, i partiti indipendentisti catalani Erc e Junts, quelli baschi Bildu e Pnv, il partito galiziano Bng e quello delle Canarie CC. Contrari i popolari, i deputati della destra estrema di Vox e il partito navarro. Domani l’investitura sarà formalmente avallata dal re Felipe VI. Sanchez, alle 10, prestera’ infatti giuramento nel Palazzo della Zarzuela, dopo la pubblicazione della sua nomina sulla Gazzetta Ufficiale dello Stato. Sarà la terza volta e davanti a lui ci sarà una copia della Costituzione, come è già successo nelle due precedenti occasioni.
Si chiude così uno stallo durato quasi quattro mesi, dalle elezioni legislative del 23 luglio. Arrivato secondo alle elezioni di luglio, dietro al suo rivale conservatore Alberto Núñez Feijóo, il premier ha dovuto negoziare in tutte le direzioni nelle ultime settimane per ottenere il sostegno di diversi gruppi regionalisti, i cui voti sono cruciali in un Parlamento molto frammentato. In particolare, ha dovuto convincere il partito del separatista catalano Carles Puigdemont, leader del tentativo di secessione della Catalogna nel 2017, fuggito in Belgio sei anni fa per sfuggire ad un procedimento giudiziario avviato contro di lui. Accettando, dopo intense trattative, di sostenere Sánchez, Puigdemont ha ottenuto, in cambio dei voti dei sette deputati del suo partito, l’imminente adozione di una legge di amnistia per centinaia di separatisti perseguiti dalla Giustizia. Una misura che gli permetterà ora di tornare in Spagna.
Nell’esporre ai deputati le priorità del suo nuovo mandato, Sánchez ieri ha difeso la necessità e la costituzionalità di questa amnistia. Una misura che consentirà di “guarire le ferite” aperte dalla crisi del 2017, ha dichiarato il premier, assicurando di voler garantire “l’unità della Spagna attraverso il dialogo e il perdono”.
L’opposizione intanto già ha promesso battaglia e il Partito popolare (PP) di Feijóo, che accusa il socialista di aver ceduto al solo scopo di restare al potere, cavalca il rischio che la Spagna si ritrovi nel mirino dell’Ue, come l’Ungheria o la Polonia, a causa dell’attacco al Stato di diritto che questa misura, secondo lui, costituisce. L’amnistia “mina la nostra reputazione internazionale e la nostra democrazia”, ha denunciato Feijóo uscendo dall’aula. Su appello del PP, centinaia di migliaia di persone sono scese domenica nelle strade di tutto il paese per dire “no” alla misura che, secondo diversi sondaggi, sarebbe respinta dalla maggioranza degli spagnoli. E sabato a Madrid è prevista una nuova mobilitazione.
Sánchez ha da parte sua invitato l’opposizione a non “approfittare di questa situazione per dare fuoco alle strade”. Segno forse che la maggioranza eterogenea che sostiene il socialista si preannuncia instabile. Mertxe Aizpurua, rappresentante di Bildu, ha già avvertito che il voto favorevole del suo partito, considerato erede della vetrina politica dell’organizzazione separatista basca Eta, non sarà infatti “un assegno in bianco”. (AGI)

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