Giuliano Balestreri
La stretta creditizia avviata dal rialzo dei tassi Bce a luglio 2022 è costata a imprese e famiglie italiane 64 miliardi di euro di minori prestiti. Una riduzione vicina al 5% dell’ammontare complessivo, con diversi angoli di lettura. Se il conto in capo alle imprese ammonta a 57 miliardi (-8%), l’impatto sui minori investimenti si vedrà nel medio lungo termine andando a impattare sulla competitività dell’industria del Paese. Per le famiglie, invece, la situazione è ancora più complessa e di difficile analisi. Il saldo negativo arriva a 7 miliardi di euro in virtù del fatto che i mutui sono sostanzialmente fermi – con un impatto sull’intero mercato immobiliare che preoccupa la stessa Bce per il ricasco che può avere sulle banche europee -, mentre i prestiti personali sono crollati di oltre 13 miliardi a fronte di un aumento del credito al consumo per 6 miliardi. Tradotto: le famiglie italiane rinviano tutti gli acquisti meno urgenti, ma sempre più spesso sono costrette a indebitarsi per finanziare le spese correnti. È quanto emerge dalla fotografia scattata dal Centro studi di Unimpresa nel rapporto mensile sul credito secondo cui la clientela bancaria fatica a onorare le scadenze con le rate dei prestiti: di conseguenza le sofferenze nette sono cresciute in un anno di quasi il 10%, passando da 16 miliardi a quasi 18 miliardi, ma del 25% nei primi nove mesi del 2023. «È la tempesta perfetta sul credito bancario: tagliati i prestiti alle imprese, mutui fermi e sofferenze in crescita. Ma è un conto che stanno pagando i cittadini e le imprese, perché le banche, proprio grazie all’aumento dei tassi, macinano utili come mai. Quest’anno i loro profitti potrebbero superare quota 40 miliardi» dice il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora che poi aggiunge: «Di fatto, le banche sono le uniche a beneficiare della scellerata politica monetaria della Banca centrale europea. Si arricchiscono le industrie bancarie, i loro manager, ma l’economia reale soffre e non ha mezzi finanziari per sostenere un periodo che si prospetta difficile». E il rischio di recessione ventilato di recente anche dall’ex premier, Mario Draghi, ha convinto Goldman Sachs ad abbassare le proprie previsioni sul tasso di riferimento della Bce per il 2024 al 3,5%: gli analisti della banca d’affari americana si aspettano il primo taglio dei tassi – oggi al 4% – nel terzo trimestre del prossimo anno, alla luce di previsioni più deboli sull’inflazione di fondo. D’altra parte l’inflazione di fondo nell’Eurozona è stata rivista al ribasso al 2,6% per l’intero 2024. «Riteniamo che il ciclo di rialzi della Bce sia terminato e che la banca centrale europea rimarrà in attesa al 4% fino al primo taglio dei tassi nel terzo trimestre del 2024, dopodiché – si legge nel report – ci aspettiamo che i tagli dei tassi procedano al ritmo di 25 punti base per trimestre fino a quando il tasso di riferimento raggiungerà il 2,5% nel quarto trimestre del 2025». [Uno scenario che potrebbe cambiare se le condizioni macroeconomiche si deteriorassero più velocemente del previsto.
Fonte: La Stampa