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Navigare in alto mare”, il rapporto dei 12 saggi franco-tedeschi sul futuro della Ue

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di Rosario Sapienza

L’allargamento dell’Unione europea è diventato un vero e proprio rebus.

Innanzitutto per le condizioni stringenti fissate dall’articolo 49 del Trattato sull’Unione europea, a termini del quale:

«Ogni Stato europeo che rispetti i valori di cui all’articolo 2 e si impegni a promuoverli può domandare di diventare membro dell’Unione. Il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali sono informati di tale domanda. Lo Stato richiedente trasmette la sua domanda al Consiglio, che si pronuncia all’unanimità, previa consultazione della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo, che si pronuncia a maggioranza dei membri che lo compongono. Si tiene conto dei criteri di ammissibilità convenuti dal Consiglio europeo.

Le condizioni per l’ammissione e gli adattamenti dei trattati su cui è fondata l’Unione, da essa determinati, formano l’oggetto di un accordo tra gli Stati membri e lo Stato richiedente. Tale accordo è sottoposto a ratifica da tutti gli Stati contraenti conformemente alle loro rispettive norme costituzionali».

E poi perché, non tutti i Paesi che hanno lo status di candidati all’adesione si trovano nelle medesime condizioni, sia perché potrebbero non avere tutti i requisiti, sia perché i negoziati di adesione si trovano in fasi diverse.

Però, se sembra certo, infatti, che per la Turchia, della cui adesione all’Unione si parla ormai da tempo immemorabile, ma poco o nulla si fa, e per l’Ucraina, il cui dossier adesione appare ancor più problematico, non se ne parli proprio, i Paesi dei Balcani occidentali sembrano meglio piazzati.

Così, anche se non sarà per domani, ci ritroveremo presto nell’Unione questi Stati: Albania, Bosnia-Erzegovina, Macedonia del Nord, Montenegro, Serbia e forse anche il Kosovo con qualche problema in più legato alle sue vicende peculiari.

È con questo scenario sullo sfondo che va letto il documento “Navigare in alto mare” esitato nello scorso mese di settembre da un gruppo di dodici saggi francesi e tedeschi, proprio per immaginare quali cambiamenti potrebbero essere utili per meglio fronteggiare il futuro di una Unione sempre più allargata e certamente diversa da quella attuale.

Il documento, del quale sono responsabili a titolo personale i dodici saggi, tutti politologi di vaglia, si basa su un assunto in sé condivisibile, ma in nessun modo ineluttabile, e cioè che non tutti gli Stati, sia membri attuali sia futuri, siano interessati agli stessi livelli di integrazione.

Così il rapporto del gruppo dei dodici immagina una nuova e complessa architettura del processo di integrazione europea, che si baserebbe su quattro distinti raggruppamenti di Stati, visti come dei cerchi concentrici.

Una prima assise sarebbe rappresentata dai Paesi dell’Unione che oggi partecipano alla moneta comune e all’area Schengen. Ossia quegli Stati che hanno già costruito forme di integrazione più avanzata, ma i cui elenchi non sono sovrapponibili.

Infatti, se l’area Schengen comprende tutti i Paesi attualmente membri dell’Unione tranne l’Irlanda, la Bulgaria, Cipro e la Romania (ma questi ultimi tre stanno per aderire), dell’eurozona, invece, non fanno parte sette su ventisette membri attuali dell’Unione: Bulgaria, Cechia, Danimarca, Polonia, Romania e Ungheria

Un secondo cerchio sarebbe rappresentato dai rimanenti Paesi dell’Unione, tra i quali gli attuali membri dell’Unione ma non dell’eurozona e, a breve, gli Stati di prossima adesione.

Un terzo cerchio, detto dei Paesi associati, includerebbe Stati che sarebbero impegnati a rispettare i principi e i valori comuni dell’UE ma ne trarrebbero limitati benefici e che vengono identificati con gli attuali membri dello Spazio economico europeo, ma non dell’Unione (Islanda, Liechtenstein e Norvegia) cui si aggiungerebbe la Svizzera.

Un quarto cerchio sarebbe costituito dagli Stati membri della Comunità Politica europea, una piattaforma di consultazione su tematiche di interesse geopolitico.

Il documento poi propone una serie di riforme istituzionali, alcune delle quali già più volte ventilate, che avrebbero lo scopo di rendere più efficienti i meccanismi decisionali dell’Unione e il cui esame esula dall’economia di queste nostre riflessioni.

Che vogliono concentrarsi sull’architettura a quattro differenti compagini, che già in sé desta qualche perplessità.

Innanzitutto, come dicevamo, esso si basa sull’assunto che i quattro cerchi concentrici possano fra loro coesistere.

A me francamente pare invece che il primo cerchio e il secondo possano coesistere con una certa difficoltà, dato che inevitabilmente condurrebbero a una Unione di serie A e ad una Unione di serie B.

Mi pare pure che i Paesi associati sarebbero eccessivamente onerati in cambio dei vantaggi che potrebbero ricavare dalla loro partecipazione e dunque spinti a far domanda di adesione.

E mi pare pure che la Comunità Politica Europea, se dev’essere quella che esiste già dal 2022 sia destinata ad essere poco più che un club dove si discute di cose politiche fra un te e un whisky, ma senza nessuna pratica utilità.

La seconda perplessità riguarda la constatazione che tutta questa nuova (?) architettura potrebbe in fin dei conti celare un inconfessabile proposito: quello di salvaguardare i destini del nucleo puro e duro dell’attuale Unione, lasciando fuori tutti gli altri Paesi, la cui presenza potrebbe profondamente modificare gli attuali equilibri in seno all’Unione.

Per non dire della constatazione, inevitabile, che nella Unione di serie B rimarrebbero alcuni tra i membri attuali più fermi oppositori del mainstream europeo, come, ad esempio Polonia e Ungheria.

Insomma, un documento su cui riflettere ancora.

Tenendo conto che, se la ritrovata cooperazione fra la Francia e la Germania va salutata come un fatto positivo, bisogna sottolineare che questo pas de deux franco-tedesco non è stato sempre un buon affare per l’Unione, con questi due primi ballerini che hanno mostrato in più occasioni di non sapere o di non volere ballare la stessa musica.