Una “pandemia di inumanità”: Karim Khan, procuratore capo presso la Corte penale internazionale mette insieme sul Guardian le guerre e gli abusi in alcune aree del mondo – dal Darfur all’Ucraina, dall’Afghanistan al Myanmar fino a Israele e Gaza – per stendere un manifesto del lavoro che lo attende in base allo Statuto di Roma. “Queste emergenze dei diritti umani – scrive – sono interconnesse. Al loro cuore c’è una crisi comune: il fallimento nel dare valore alle vite umane”. “È in tempi come questi, quando le persone vulnerabili sentono di essere state dimenticate – sottolinea – che abbiamo bisogno della legge più che mai. Non la legge in astratto, non la legge come teoria, ma la legge capace di fornire una protezione tangibile a chi ne ha più bisogno. Le persone devono poter vedere che la legge e i diritti umani hanno un impatto concreto sulle loro vite”.
Partendo dalla propria presenza la scorsa settimana al valico di Rafah, tra Gaza e l’Egitto, Khan ribadisce che “il diritto internazionale umanitario è stato istituito per momenti come questi”, per garantire che “nel conflitto, nella rabbia, resti tracciata una linea guida della condotta umana, dell’umanità, che nessun essere umano possa superare”. “Questa – sottolinea – è la legge della Corte penale internazionale”.
Nessuna delle due parti nel conflitto attuale in Medio oriente è risparmiata da Khan, che promette di indagare ovunque lo lascino andare le due parti. Cominciando con il 7 ottobre, che ha visto “atti ripugnanti per chiunque”. “Sono gli atti – spiega – più non-islamici che esistano e non possono essere commessi in nome di una religione il cui vero significato è la pace. Questi atti rappresentano alcune delle più gravi violazioni del diritto internazionale umanitario”. La presa di ostaggi “rappresenta – scrive – una grave violazione delle Convenzioni di Ginevra. È un crimine di guerra secondo lo statuto di Roma della Corte penale internazionale”. “Quando si verificano questi tipi di atti – afferma – non possono rimanere senza indagini e non possono rimanere impuniti. Il mio ufficio ha giurisdizione sui crimini commessi dai cittadini di tutti gli Stati firmatari. Tale giurisdizione continua su qualsiasi crimine previsto dallo statuto di Roma presumibilmente commesso da cittadini palestinesi o da cittadini di qualsiasi stato parte sul territorio israeliano”.
“I responsabili dell’organizzazione e dell’attuazione delle atrocità del 7 ottobre – assicura – devono sapere che il mio ufficio sta indagando attivamente su questi crimini”. E “sebbene Israele non sia uno dei 123 paesi che hanno aderito allo Statuto di Roma, sono pronto a lavorare con quelle autorità nazionali e con le famiglie delle vittime in Israele” per “garantire che venga fatta giustizia per le persone colpite da questi crimini”.
Quanto ai palestinesi, essi “meritano giustizia tanto quanto qualsiasi altro essere umano. Come dissi in un discorso pronunciato al Cairo a ottobre, non esistono figli di un Dio minore”. “Non son potuto entrare a Gaza – ricorda – ma al valico di Rafah mi sono fermato al suo ingresso e ho sottolineato che oltre quei cancelli ci sono bambini, ragazzi e ragazze innocenti che dovrebbero andare a scuola, imparare e studiare e sperare di costruire un futuro migliore, con la speranza di rimediare agli errori di questa generazione di leader e alle nostre stesse carenze”. “È intollerabile – prosegue – vedere i corpi dei bambini trascinati fuori dalle macerie, nella polvere e portati d’urgenza in strutture mediche che potrebbero non avere i mezzi per curarli”. “Non possiamo e non dobbiamo perdere di vista il fatto – sottolinea Khan – che esistono leggi che regolano la condotta di queste ostilità. Non esistono assegni in bianco, nemmeno in guerra. Le leggi che abbiamo, lo statuto di Roma in base al quale opero, richiedono che le vite innocenti siano particolarmente protette. Queste tutele previste dalla legge si applicano allo stesso modo indipendentemente da razza, religione, nazionalità o genere. Il mio ufficio ha giurisdizione in relazione a qualsiasi presunto crimine commesso sul territorio dello Stato di Palestina da qualsiasi parte. Ciò include la giurisdizione sugli eventi attuali a Gaza e in Cisgiordania”.
Israele, ribadisce il procuratore capo, ha “obblighi chiari in relazione alla sua guerra con Hamas: non solo obblighi morali, ma obblighi di rispetto delle leggi dei conflitti armati”, delineate “con chiarezza” nello Statuto di Roma e nelle Convenzioni di Ginevra. Israele è chiamato “a dimostrare che qualsiasi attacco che colpisce civili innocenti o luoghi protetti è condotto in conformità con le leggi e le consuetudini del conflitto armato. Dovranno dimostrare la corretta applicazione dei principi di distinzione, precauzione e proporzionalità”. “Voglio essere chiaro in particolare su tre punti. Uno: abitazioni, scuole, ospedali, chiese, moschee sono luoghi protetti, a meno che lo status di protezione non svanisca perché utilizzati per scopi militari. Due: nel dubbio che uno di questi luoghi abbia perduto il suo status protettivo, l’aggressore deve presumere che sia protetto. Tre: l’onere di dimostrare che questo status protettivo è perduto spetta a chi spara con armi da fuoco, missili o razzi”. “Il lancio indiscriminato di razzi da Gaza verso Israele – precisa il magistrato – può rappresentare una violazione del diritto umanitario internazionale soggetto alla giurisdizione della Corte penale internazionale”.
La riflessione di Kahn era partita dal valico di Rafah, e lì torna. “Ho visto – racconta – camion pieni di merci, pieni di aiuti umanitari, bloccati dove nessuno ne ha bisogno. Queste forniture devono giungere ai civili di Gaza senza indugio. Impedire gli aiuti umanitari previsti dalle Convenzioni di Ginevra può costituire un crimine di guerra. Voglio sottolineare, nei termini più chiari possibili, che devono esservi sforzi evidenti da parte di Israele, senza ulteriori indugi, per consentire ai civili di ricevere cibo di base, acqua, medicine, anestetici e morfina. Sottolineo inoltre a Hamas e a chiunque abbia il controllo a Gaza che, quando tali aiuti raggiungono Gaza, è imperativo che arrivino alla popolazione civile e non vengano utilizzati in modo improprio o dirottati altrove”. (AGI)