Il disastro del Vajont si verificò la sera del 9 ottobre 1963, nel neo-bacino idroelettrico artificiale del torrente Vajont nell’omonima valle (al confine tra Friuli e Veneto). Una frana precipitò dal soprastante pendio del Monte Toc nelle acque del bacino alpino realizzato con l’omonima diga; la conseguente tracimazione dell’acqua contenuta nell’invaso coinvolse prima Erto e Casso, paesi vicini alla riva del lago, mentre il superamento della diga da parte dell’onda generata provocò l’inondazione e distruzione degli abitati del fondovalle veneto, tra cui Longarone. Morirono 2018 persone, tra cui 487 bambini con meno di 15 anni.
Le cause della tragedia, dopo numerosi dibattiti, processi e opere di letteratura, furono ricondotte ai progettisti e dirigenti della SADE, ente gestore dell’opera fino alla nazionalizzazione, i quali occultarono la non idoneità dei versanti del bacino, a rischio idrogeologico. Dopo la costruzione della diga si scoprì infatti che i versanti avevano caratteristiche morfologiche (incoerenza e fragilità) tali da non renderli adatti ad essere lambiti da un serbatoio idroelettrico.
Il 21 febbraio 1968 il giudice istruttore di Belluno, Mario Fabbri, depositò la sentenza del procedimento penale contro Alberico Biadene, Mario Pancini, Pietro Frosini, Francesco Sensidoni, Curzio Batini, Francesco Penta, Luigi Greco, Almo Violin, Dino Tonini, Roberto Marin e Augusto Ghetti. Nel frattempo, due di questi, Penta e Greco, erano morti, mentre Pancini si tolse la vita.
Il giorno dopo il suicidio di Pancini iniziò il processo di primo grado, che si tenne all’Aquila. Biadene, Batini e Violin furono condannati a sei anni, di cui due condonati, di reclusione, per omicidio colposo plurimo, colpevoli di non aver avvertito per tempo e di non avere messo in moto lo sgombero; tutti gli altri furono assolti. La prevedibilità della frana non fu riconosciuta.
La sentenza del processo di appello riconosce la totale colpevolezza di Biadene e Sensidoni, che vengono riconosciuti colpevoli di frana, inondazione e degli omicidi. Essi vengono condannati a sei e a quattro anni e mezzo. Frosini e Violin vengono assolti per insufficienza di prove; Marin e Tonini assolti perché il fatto non costituisce reato; Ghetti per non aver commesso il fatto.
Dal 15 al 25 marzo 1971 a Roma si svolse il processo di Cassazione. Biadene e Sensidoni vengono riconosciuti colpevoli di un unico disastro: inondazione aggravata dalla previsione dell’evento compresa la frana e gli omicidi. Biadene viene condannato a cinque anni (due per il disastro e tre per gli omicidi), Sensidoni a tre e otto mesi: entrambi gli imputati beneficiano di tre anni di condono (nel caso di Biadene per motivi di salute; viene infine rilasciato dopo un solo anno di detenzione per buona condotta). Tonini viene assolto per non aver commesso il fatto; gli altri verdetti restano invariati.
Il 16 dicembre 1975 la Corte d’Appello dell’Aquila rigetta la richiesta del Comune di Longarone di rivalersi in solido contro la Montedison, società che aveva acquisito la SADE, condannando l’ENEL al risarcimento dei danni subiti dalle pubbliche amministrazioni, a loro volta già condannate a pagare le spese processuali alla Montedison.
Sette anni dopo, il 3 dicembre 1982, la Corte d’Appello di Firenze ribalta la sentenza precedente, condannando in solido ENEL e Montedison al risarcimento dei danni sofferti dallo Stato e la Montedison per i danni subiti dal Comune di Longarone; il 17 dicembre del 1986 la Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso presentato da Montedison contro la sentenza del 1982.
Infine il 15 febbraio 1997 il Tribunale Civile e Penale di Belluno condanna la Montedison a risarcire i danni subiti dal comune di Longarone per un ammontare di lire 55645758500, comprensive dei danni patrimoniali, extra-patrimoniali e morali, oltre a lire 526546800 per spese di liti ed onorari e lire 160325530 per altre spese. La sentenza ha carattere immediatamente esecutivo. Nello stesso anno viene rigettato il ricorso dell’ENEL nei confronti del comune di Erto-Casso e del neonato comune di Vajont, obbligando così l’ENEL al risarcimento dei danni subiti, che verranno quantificati dal Tribunale Civile e Penale di Belluno in lire 480990500 per beni patrimoniali e demaniali perduti; lire 500000000 per danno patrimoniale conseguente alla perdita parziale della popolazione e conseguenti attività; lire 500000000 per danno ambientale ed ecologico.
La vicenda si concluse definitivamente nel 2000 con un accordo per la ripartizione degli oneri di risarcimento danni tra ENEL, Montedison e Stato Italiano al 33,3% ciascuno.