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I misteri, i soldi, l’eredità, il testamento mafioso di Matteo Messina Denaro

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La morte di ‘U Siccu apre alla successione. Chi prenderà il suo posto e chi si prenderà l’archivio di Riina con tutti i suoi segreti?

Una bara da 1.500 euro porterà il corpo di Matteo Messina Denaro nella cappella di famiglia di Castelvetrano. ‘U Siccu è morto ieri notte all’1.57 nella stanza del reparto detenuti dell’ospedale San Salvatore de L’Aquila. L’avvocata Lorenza Guttadauro, nipote del boss, ha accompagnato la barella fino all’obitorio, in attesa dell’autopsia. Poi si è presentata davanti all’impresa di pompe funebri Pacini del capoluogo abruzzese per acquistare il feretro in frassino. Che tornerà nel paese da dove tutto è partito. Per lui niente funerale religioso. La tumulazione è prevista per domani o al massimo giovedì 28 settembre. Matteo riposerà vicino al padre Francesco Messina Denaro. Che, a differenza di Diabolik, era riuscito a trascorrere l’ultima parte della sua vita in latitanza, morendo senza “farsi prendere” dalla polizia. E ora, cosa succederà a Cosa Nostra? Chi gestirà l’eredità mafiosa del Padrino?

La successione

Il Corriere della Sera spiega oggi che due sono le eredità di Matteo Messina Denaro: quella economica e quella mafiosa. La sua famiglia a Castelvetrano è stata funestata dalle indagini. Una buona parte dei parenti si trova in galera o in sorveglianza speciale. Ma il nome più gettonato dell’erede è quello di Francesco Guttadauro. È il figlio di Filippo, che si trova in sorveglianza speciale al 41 bis dopo aver scontato la pena per aver favorito la latitanza di Messina Denaro. E della sorella Rosalia Messina Denaro, responsabile dell’arresto del fratello perché proprio in casa sua in via Alberto Mario a Castelvetrano i carabinieri hanno trovato il pizzino in cui si descriveva la malattia del boss. Francesco è il fratello dell’avvocata Lorenza. Ed è il «nipote prediletto» di Matteo. I Guttadauro appartengono al mandamento di Brancaccio, governato fino all’arresto dai fratelli Graviano.

Chi è Francesco Guttadauro

Francesco Guttadauro attualmente è in carcere. Deve scontare una condanna a 16 anni. Potrebbe uscire entro la fine del 2025, per l’abbuono di tre mesi per ogni anno trascorso in cella riconosciuto a tutti i detenuti. Un pentito del clan di Bagheria, Stefano Lo Verso, lo ha descritto come «molto vicino» a Messina Denaro, che lo avrebbe «nel cuore». In più, proprio il boss negli ultimi tempi ha deciso di parlare soltanto con l’avvocata, escludendo tutti i parenti. Forse per la paura di essere intercettato. L’eredità economica invece consiste in primo luogo in tutti gli investimenti di Messina Denaro nella provincia di Trapani e in Sicilia. Essendo effettuati tramite prestanome, c’è il rischio che succeda quel che è accaduto con un terreno in zona. Ovvero che la figlia del prestanome dell’epoca se ne è appropriata e l’ha venduto, facendo infuriare il capomafia.

Ansa | Francesco Guttadauro, Filippo Guttadauro, Patrizia Messina Denaro

L’eredità economica

Per questi investimenti potrebbero rivendicare una voce in capitolo anche i familiari. Impossibile quantificarli, ma durante la caccia trentennale al latitante i Ros hanno sequestrato beni per 4 miliardi di euro. Altri aspiranti potrebbero essere gli imprenditori in affari con lui, i mediatori o i capimafia che vogliono prendere il suo posto nel controllo del territorio di Castelvetrano e della provincia. Gian Carlo Caselli, che guidò la procura di Palermo, dice oggi al quotidiano che con la morte di Messina Denaro «si potrebbe affermare sempre più la mafia degli affari con la cosiddetta “zona grigia”. Il rischio è che si riproponga il limite culturale che da sempre ci affligge. Quello di considerare la mafia un pericolo solo quando scorre il sangue per effetto delle sue strategie “militari”; sottovalutandola invece, fino ad accettare il rischio di conviverci, quando adotta strategie “attendiste”, dimenticando la sua lunga storia di violenze e quella straordinaria capacità di condizionamento che ha fatto di un’associazione criminale un vero e proprio sistema di potere criminale».

Il mistero delle chiavi

Si pensa poi che Messina Denaro sia il custode dei segreti di Totò Riina. Questo perché è stato lo stesso Zu’ Toto a dirlo a Giovanni Brusca prima di essere arrestato: «Se mi dovesse accadere qualcosa, i picciotti sanno tutto». I picciotti erano Giuseppe Graviano e Matteo Messina Denaro. Sempre Riina disse a Saro Naimo, mafioso degli Anni Cinquanta con tanti contatti in America, che il figlio di Don Ciccio aveva le sue carte e sarebbe stato il suo erede. Nell’ultimo rifugio a Campobello di Mazara gli investigatori hanno trovato molte chiavi. Senza scoprire quali porte aprono. Si cercano ancora altri covi del boss oltre ai due scoperti dopo l’arresto alla clinica Maddalena di Palermo, esattamente trent’anni e un giorno dopo quello del Capo dei Capi.

L’archivio di Riina e la trattativa

Il Fatto Quotidiano ricorda che Nino Giuffré, boss di Caccamo vicino a Bernardo Provenzano, ha raccontato che le carte del Capo dei Capi portate via dal covo di via Bernini a Palermo dopo il suo arresto potrebbero essere finite proprio a Messina Denaro. E pronostica che in assenza di eredi “corleonesi” (ovvero della banda di Riina all’interno di Cosa Nostra) possa andare perduto tutto il patrimonio di rapporti che ‘U Curtu aveva intrecciato negli anni di dominio della Sicilia. Negli anni il boss di Castelvetrano aveva intrecciato rapporti con la massoneria, così come suo padre prima di lui. Il medico Alfonso Tumbarello, che secondo la procura l’ha aiutato nella latitanza, era massone.

Il giocatore di poker

Il pm Gabriele Paci, che ha sostenuto l’accusa nei confronti di Matteo Messina Denaro nel processo sulle stragi di Capaci e via D’Amelio, dice oggi a Giuseppe Pipitone che Diabolik era soprattutto «un giocatore di poker». Uno che aveva la capacità di bluffare «giocando su più tavoli». E ancora: «Dopo l’arresto sono rimasti tutti sorpresi quando hanno scoperto che in ospedale il boss aveva instaurato rapporti basati su un forte senso d’umanità coi medici e con gli altri pazienti. Ma lui ha sempre avuto questa capacità camaleontica di bluffare in modo che gli altri non potessero neanche immaginare quale fosse la sua vera natura». Matteo Messina Denaro «prima ha preso parte alle stragi, incarnando lo spirito di Riina e partecipando alla guerra contro lo Stato. Grazie a questo è diventato un mafioso di alto rango quando era ancora giovanissimo. Poi però, quando è stato il momento, ha lasciato perdere le stragi e si è messo a fare quello che diceva Provenzano, cioè la mafia degli affari. È diventato un uomo sommerso del quale si perdono le tracce per quasi 30 anni. E sicuramente, adesso si può dire, non credo che per 30 anni si sia fatto i selfie con gli infermieri».

Riina e le pale eoliche

Paci ricorda che nelle intercettazioni in carcere del 2012 Riina definiva Messina Denaro come uno che era cresciuto sulle sue ginocchia. Ma poi lo rimproverava perché faceva affari con le pale eoliche. Invece di continuare con la sua strategia della guerra allo Stato. E proprio questo, secondo il procuratore di Palermo, è oggi il mistero di Messina Denaro. Che conosceva i suggeritori delle bombe contro il patrimonio artistico del 1993. E che poteva anche sapere perché a un certo punto le stragi finiscono: «Non so se potremo avere mai la certezza storica di come andarono le cose. Sicuramente però c’è lo spazio per andare avanti». Di certo lui ha deciso di morire da irriducibile e di portarsi i suoi segreti e i suoi misteri nella tomba.

 

di Alessandro D’Amato – fonte: https://www.open.online/


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