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Digitalizzare aiuta a gestire meglio i fondi Ue

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Anche in Italia e-Cohesion ha favorito l’avvio di sistemi per lo scambio elettronico delle informazioni tra beneficiari e soggetti gestori dei fondi europei, migliorando la capacità di spesa. Ora la sfida è digitalizzare tutte le fasi della gestione.

Le difficoltà italiane a spendere i fondi europei

Si parla spesso della lentezza con cui l’Italia, e in particolare alcune amministrazioni pubbliche, utilizzano i fondi europei. Un problema che già esisteva prima della pandemia e degli strumenti introdotti per mitigarne le conseguenze. Ora Next Generation EU e Piano nazionale di ripresa e resilienza hanno acuito le difficoltà di impiego delle risorse poiché ci sono più soldi disponibili e perché non basta più spendere, ma bisogna anche dimostrare di aver raggiunto gli obiettivi e aver realizzato riforme. Nonostante la capacità di spendere non sia una condizione sufficiente perché gli investimenti siano efficaci, è certamente una condizione necessaria: se non si utilizzano i fondi, sicuramente non si può raggiungere alcun obiettivo. L’Italia non brilla nell’assorbimento delle risorse comunitarie. Per esempio, a fine 2022 – cioè un anno prima della chiusura del periodo in cui è possibile utilizzare i fondi 2014-2020, il tasso di assorbimento delle politiche di coesione (Fesr- Fondo europeo di sviluppo regionale e Fse-Fondo sociale europeo) era fermo al 79 per cento, sotto la media europea dell’83 per cento (figura 1), con ben il 21 per cento del denaro ancora da spendere (oltre 6,5 miliardi di risorse Ue). La performance finanziaria dipende da vari fattori, tra cui la capacità amministrativa e le procedure che si mettono in atto per gestire i fondi, inclusa l’informatizzazione dei processi e delle operazioni. Qui proponiamo alcuni dati sulla digitalizzazione dei processi durante l’attuazione dei programmi europei, mentre si rinvia a successivi contributi per ciò che riguarda altri ostacoli alla spesa dei programmi finanziati dai fondi Ue.

La digitalizzazione della gestione

Nel periodo di programmazione 2014-2020 è stato introdotto l’obbligo per le amministrazioni di garantire ai beneficiari la possibilità di poter scambiare elettronicamente i dati con le autorità di gestione (Adg) dei programmi. L’obbligo, noto con il concetto di “e-Cohesion”, era previsto dall’art. 122(3) del regolamento sulle disposizioni comuni del 2014-2020 e una norma simile è presente anche nel regolamento 2021-2027. L’applicazione dell’e-Cohesion è stata oggetto di una valutazione condotta sulla base dell’analisi di oltre 300 programmi operativi Fesr e Fondo di coesione. La possibilità di scambiare i dati elettronicamente ha numerosi vantaggi, compresi semplificazione delle procedure, riduzione dei tempi, del carico amministrativo e degli errori con conseguenti risparmi. Un aspetto centrale dello scambio digitale è la possibilità per i beneficiari di inserire le informazioni una sola volta a sistema (cosiddetto principio di “only-once-encoding”), se vi è interoperabilità con altri sistemi, registri e database, sia all’interno dell’amministrazione che al suo esterno. Per esempio, una interoperabilità con il registro delle imprese o con l’Inps permette di recuperare in automatico dati corretti di chi fa domanda di finanziamento senza necessità di reinserirli ogni qual volta si presenta un nuovo progetto.

I paesi europei si sono tutti mobilitati per assicurare il funzionamento dell’e-Cohesion, seppur in modo molto differenziato. Nella maggior parte degli stati esiste un solo sistema a livello paese. In altri casi ne esistono numerosi. L’Italia è un caso molto particolare in quanto vi sono più sistemi informativi che amministrazioni e programmi operativi Fesr (figura 2). La valutazione a cui abbiamo accennato ha censito ben 32 sistemi nel nostro paese, più di un terzo dell’intero numero di sistemi messi in piedi in tutta Europa. Seconda è la Germania con 15 sistemi, terza la Spagna con 9. A seguire tutti gli altri stati membri, la maggior parte dei quali utilizza un solo sistema per tutti i programmi. Il proliferare di sistemi per lo scambio elettronico è certamente legato al fatto che siamo un paese regionalizzato, e l’assetto che lo stato si è dato nella distribuzione delle competenze, anche con la riforma del Titolo V della Costituzione, non favorisce tanto la razionalizzazione quanto duplicazioni di interventi e processi. A ogni modo, nonostante la complessità, la valutazione condotta sull’e-Cohesion ha evidenziato che alcuni sistemi funzionano bene e ha individuato buone pratiche regionali caratterizzate da buona interoperabilità.

Dove migliorare

In tutta Europa, Italia compresa, il regolamento Ue ha certamente favorito la realizzazione, dove non erano disponibili, o il rafforzamento, ove già in uso, dei sistemi per lo scambio elettronico delle informazioni tra beneficiari dei fondi e soggetti gestori. Questi sistemi informativi vantano funzionalità avanzate e, in base ai dati raccolti da chi li ha utilizzati, assicurano una buona soddisfazione degli utenti. Tuttavia, vi sono aspetti che andrebbero migliorati, in particolare in Italia, dove una maggiore digitalizzazione delle procedure potrebbe favorire l’efficace ed efficiente utilizzo dei fondi europei.

La sfida è digitalizzare tutte le fasi della gestione dei fondi, non solo permettendo lo scambio elettronico di dati tra beneficiari e amministrazioni, ma informatizzando anche le attività di selezione dei progetti, firma dei contratti e gestione degli eventuali reclami e controversie. Attualmente, allo scambio elettronico se ne affiancano spesso altri, paralleli, via mail o cartacei, che andrebbero progressivamente superati. È poi essenziale una maggiore interoperabilità con registri, database esterni e altri sistemi. Infine, sarebbe auspicabile una razionalizzazione, con uno o pochi sistemi di scambio elettronico utilizzati da più amministrazioni, anziché un sistema diverso per ogni ufficio, nonché un’estensione dei sistemi di scambio elettronico a tutte le politiche e non solo ai fondi Ue.

Fonte: La Voce