La pace oggi ha molti nomi, tanti quante sono le emergenze e le tragedie del nostro tempo. Il trattato che mette fine a un conflitto armato è solo una delle possibili forme della pace, la più vistosa e desiderata: a cosa si ambisce ora per la guerra in Ucraina se non il giorno in cui quel patto sarà concluso, a condizioni di giustizia? Oggi però non ci sono più solo le bombe a creare dissidi e seminare violenza e iniquità.
Si deve far pace anche tra l’umanità e la Terra che abitiamo, tra espressioni religiose e radici etniche differenti che hanno calcificato incomprensioni e odi secolari, tra aree benestanti del pianeta e popoli in condizioni di miseria apparentemente invincibile, che cercano altrove un futuro all’altezza della dignità umana e sono pronti ad accettare ogni rischio per provare a ottenerlo. Così la pace che ci manca e che cerchiamo ha il volto del soldato ma anche del migrante, di chi è lasciato senza nulla da una catastrofe ambientale ma anche del povero accovacciato sul marciapiede della nostra città. Pace è quella che rende giustizia a ciascuno rispondendo al suo innato bisogno di non essere minacciato da crisi, condizioni di vita ed emergenze che non ha voluto né alimentato.
È a questa idea di pace “allargata” che si deve guardare oggi per averne un concetto realistico e non astratto, per costruirla davvero come e dove è possibile farlo, senza attendersi che arrivi come un colpo di scena in una storia della quale siamo semplici spettatori. La pace nel mondo globale è assai più complessa di come la descrivono i libri di storia. I suoi costruttori non vestono solo la mimetica dei militari e la grisaglia dei diplomatici. Sono artigiani più che professionisti, e questi non possono nulla senza i primi, sebbene sembri il contrario.
Protagonisti quindi possiamo essere anche noi, sì, così periferici e irrilevanti come ci sentiamo davanti agli incombenti scenari dei fenomeni planetari – migrazioni e guerre, emergenze climatiche e ingiustizie endemiche – dei quali siamo consapevoli e informati ma che ci chiamano a non stare a guardare. Allo stesso modo, possiamo lasciare la pace nel limbo degli auspici irrealizzabili vivendo nella sostanziale indifferenza rispetto a tutte le ferite che oggi lacerano la veste dell’umanità. Convinti che tutto resta uguale, o che tutto possa cambiare: di qui passa la pace.
Andando a Marsiglia per gli Incontri Mediterranei il Papa ha testimoniato questo sguardo realista e moderno sulla pace e i suoi costruttori, più largo di quel che si crede e più efficace delle sue definizioni “da manuale”. L’incombere di fatti e fenomeni che sembrano sovrastare la volontà di chiunque come se fossero fuori controllo può portare infatti a credere che il ritrovarsi di giovani e vescovi nella metropoli costiera francese per riflettere di migrazioni e futuro sia in fondo ininfluente rispetto a soluzioni ancora remote sui grandi flussi migratori e la stessa pace. Così è anche per le disarmate missioni del cardinale Zuppi a Kiev, Mosca, Washington e Pechino allo scopo di creare le condizioni affinché si discuta finalmente di come far tacere le armi nel cuore dell’Europa.
Ma a indicarci un metodo e una strada è proprio questo insistere della Chiesa sul cammino da fare comunque, sui dialoghi da tenere vivi sempre, creando occasioni non ancora sperimentate, cercando nuovi interlocutori, gesti e parole da gettare come ponti, senza scoraggiarsi mai. Il metodo è la tessitura instancabile di una trama che vista da vicino pare fragile ma, nell’intrecciarsi tenace e paziente dei fili, porta a creare una struttura ampia e resistente in grado di mostrare infine al mondo che soluzioni di pace sono possibili sempre, che esplorare insieme un terreno comune è assai più promettente che attendere il corso degli eventi, come se una via d’uscita arrivasse da sé (e arriva, ma come effetto di una prova di forza). Quanto alla strada, non la vediamo, adesso? Si apre davanti ai nostri occhi: perché di sicuro è nelle nostre mani un filo pressoché invisibile ma indispensabile a un minuscolo nodo nell’immenso arazzo di pace. La preghiera, l’impegno per capire, la semina di idee e parole, l’adesione attiva a iniziative, la promozione di incontri, l’essere sempre promotori di riconciliazione: tutto ciò che sa di interesse partecipe e attivo alle ferite del nostro tempo non è vano o illusorio, ma contribuisce all’opera d’arte della pace, in uno qualunque dei suoi molteplici nomi. Per dirla con Francesco a Marsiglia, oggi è questo il nostro bivio.
Francesco Ognibene
Fonte: Avvenire